Tari e parcheggi, Pd: “Aumenti ingiustificati”
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Il luogo dove venne firmato il ‘patto del paciugo’
All’incrocio tra via degli Spadari e via Fausto Beretta c’è una fila di cassonetti dell’immondizia. Lì accanto è stato siglato uno degli atti più importanti (per le conseguenze potenziali che porta con sè) della legislatura Fabbri.
In quel punto sono state fatte firmare le dimissioni dalla carica di consigliera a Rossella Arquà.
Fresca di perquisizione della Digos, la Arquà non era propriamente a suo agio. Il suo referente provinciale di partito, Davide Bergamini, le aveva preannunciato che la vicenda delle lettere minatorie al vicesindaco sarebbe finita l’indomani sul giornale. Lui stesso le aveva suggerito di dimettersi dalle cariche di partito e, sostiene la diretta interessata, anche da quella di consigliere.
Come colpito da chiaroveggenza, di lì a poco il presidente del consiglio, Lorenzo Poltronieri, la chiama per chiederle di correre in municipio a firmare e protocollare la rinuncia al mandato di rappresentanza dei cittadini che l’avevano votata. Lei tentenna e lui le corre incontro, portandosi dietro anche un funzionario comunale che, come racconterà, scoprirà solo strada facendo il motivo della trasferta.
Le cronache giudiziarie ancora non ci raccontano se Rossella Arquà abbia posto la propria firma appoggiandosi a uno dei bidoni dei rifiuti che si trovavano nei paraggi. Ma la trama è già sufficiente per parlare di “patto del paciugo”.
Nei giorni successivi l’ex fedelissima di Nicola Lodi si troverà il mondo che conosceva (direi che conosceva molto male) completamente capovolto. Il suo guru e mentore politico Naomo che la getta in pasto ai media. La procura che la indaga per simulazione di reato (in un paio di occasioni ha mandato ingegnosamente lettere anonime anche a se stessa) e minacce aggravate. Il consiglio comunale che si appresta alla sua surroga.
E allora, chissà se in un impeto di resipiscenza, corre ai ripari e si affida a un avvocato. Ironia del destino sceglie Fabio Anselmo, noto per casi – e cause – più nobili. Anselmo esamina la vicenda e capisce che quanto reso pubblico fino ad allora era perlomeno incompleto. Tanto da fargli dire che aveva “la netta sensazione che qualcuno stia tentando di far fare di Rossella Arquà una vittima sacrificale. Sappia che ha sbagliato i suoi conti”.
Al momento una delle ipotesi in campo è che l’ex leghista reietta non abbia fatto tutto da sola. Anche perché, di fronte alle evidenze trovate dalla Digos, ha candidamente ammesso di averle spedite lei le lettere. Non si sa se tutte le lettere. E, soprattutto, ha confessato di essere la mittente ma ha taciuto il movente. Speriamo che l’inchiesta giudiziaria aiuti a chiarire anche questo aspetto.
Ma torniamo alla sua resipiscenza. Sempre presunta. L’Arquà si oppone alla surroga. L’avvocato predispone il ricorso al Tar per cercare di farla, esulando dal linguaggio tecnico, reintegrare nel rango di consigliera.
Nell’aula del giudice amministrativo si vengono a sapere tante succulente novità. Prima tra tutte che le parole consegnate in Municipio dal presidente del consiglio chiaroveggente sono completamente smentite dall’altro testimone oculare, il suo segretario. Giuseppe Milone conferma la versione dell’Arquà.
La querela dell’Arqua contro Poltronieri per falso (avrebbe fornito informazioni non veritiere al segretario generale in sede di istruttoria interna), calunnia e diffamazione (ha scritto che la diffida della consigliera conteneva “affermazioni false ed infamanti circa la condotta del sottoscritto, che si è limitato a raccogliere dette dimissioni presentate personalmente dall’interessata ed a protocollarle immediatamente”) è ora all’esame della magistratura penale.
Sempre Milone ci spiega che quelle dimissioni non vennero presentate su iniziativa della consigliera (addirittura Poltronieri le presentò un foglio già compilato) e fu lui, il presidente del consiglio, a protocollarle in assenza della diretta interessata.
Quindi il presidente del consiglio ha mentito spudoratamente. E fin qui, all’epoca dei Naomo, nulla di troppo strano.
Il problema è che il presidente del consiglio, colui che è chiamato secondo Statuto ad attuare “ogni iniziativa utile a consentire ai consiglieri l’acquisizione di notizie, informazioni e documenti ai fini dell’espletamento del mandato”, a garantire “il buon andamento del Consiglio nel rispetto dello Statuto e del regolamento consiliare”, a tutelare “le prerogative dei consiglieri” e garantirne “l’esercizio effettivo delle loro funzioni”, ha mentito al segretario generale del Comune che rappresenta.
E ha mentito anche a tutti i consiglieri quando, nel corso dell’assemblea del 28 giugno, rispondendo all’opposizione, disse che “io mi alzo tutte le mattine e onestamente vengo in Comune. La Arquà chiamandomi ha riconosciuto in me quella onestà”.
Non solo. Sulla base di quelle informazioni false i consiglieri hanno votato la surroga, escludendo Rossella Arquà da quel diritto di rappresentanza sancito dalla legge italiana che fino ad allora esercitava. Per carità, lo stava esercitando malissimo, ma questo ora non rileva.
Rileva il fatto che Lorenzo Poltronieri si dovrà presentare d’ora in avanti in consiglio comunale con l’incombenza di dover rappresentare l’intera assise, non l’interesse di qualcuno o di una fazione. E dovrà far credere di essere imparziale e assicurare a tutti le stesse prerogative consiliari.
E sperare di non dover pagare di tasca propria, come a tanti sta succedendo, per essersi fidato (qui cito l’Arquà) “di certe persone in modo cieco e ingenuo”.
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