Attualità
12 Aprile 2016
Il caso del ricercatore ucciso riporta alla ribalta la mancanza del reato di tortura in Italia

Anselmo: “Regeni come Cucchi e Aldrovandi”

di Marco Zavagli | 3 min

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ImmagineReato di tortura, l’Italia è nuda di fronte al paradosso di se stessa. Il caso Regeni mette il nostro Paese di fronte a un imbarazzo internazionale in tema di rispetto delle convenzioni internazionali. Mentre Mogherinie Gentiloni cercano alleati nell’Unione europea e nell’Onu per assicurare alla giustizia i responsabili della morte e delle sevizie del ricercatore italiano, spunta lecita una domanda. Se i torturatori di Giulio dovessero finire mai nelle mani della magistratura italiana, come farà il nostro ordinamento a punire le singole condotte se non possiede un reato specifico per la tortura?

Lo abbiamo chiesto all’avvocato ferrarese Fabio Anselmo, che ha seguito in carriera diversi casi spinosi e che da anni invoca l’introduzione nel codice penale di questa fattispecie giuridica.

“È evidente la straordinaria debolezza del nostro Paese da un punto di vista giuridico. Senza la fattispecie della tortura si può procedere per un altro reato, per omicidio o per concorso in omicidio. Ma, e il caso del giovane ricercatore friulano ne è l’esempio lampante, si rischia di non inquadrare le responsabilità individuali”.

C’è chi sostiene che il reato è già punibile dal nostro ordinamento penale.

“Essere ucciso è diverso da essere torturato e ucciso. È palese il fatto che la tortura esprime crudeltà e comporta sofferenze ben più rilevanti rispetto al “semplice” omicidio. E a chi dice che questo ambito è coperto dal reato di lesioni o dall’omicidio con l’aggravante della crudeltà rispondo che se tutti i paesi che si definiscono democratici e l’Onu ci impongono di dotarci di una legge specifica avranno dei validi motivi. Torturare significa procurare sofferenze acute e intollerabili fini a se stesse e che vanno al di là dell’intento omicida e che possono essere compiute da soggetti diversi da coloro he provocano materialmente la morte. Quando questo si verifica la magistratura italiana non ha altra arma che processare i responsabili per lesioni dolose, reato che cade presto in prescrizione, come nel caso della Diaz”.

Perché non si approva una legge seria contro la tortura?

“Il motivo lo dice placidamente Salvini: il leader della Lega Nord sostiene che altrimenti la polizia non riuscirebbe a lavorare. Mi pare evidente che ci sia una fortissima paura nei confronti di una eventuale legge su questo argomento. Io francamente non lo capisco. È ovvio che la Polizia non tortura quando fa il proprio lavoro. Perché allora temere di approvare qualcosa che da circa trent’anni, dalla Convenzione di New York del 1984, ci viene intimato dall’Onu? Dicono che non servirebbe a niente? Allora rispondo che ne abbiamo tante di legge inutili. Almeno questa ci permetterebbe di rispettare obblighi internazionali. Il problema da noi c’è, esiste. Questo non significa che le forze dell’ordine utilizzano al tortura, ma tutti possono sbagliare e la legge deve essere uguale per tutti, anche per chi porta una divisa o riveste un ruolo di potere”.

Quali tra i casi spinosi che ha seguito in mezza Italia avrebbe potuto avere un esito diverso se fosse esistita una legge ad hoc?

Tutti. Sarebbero stati tutti molto più semplici, soprattutto dal punto di vista della condotta che porta al decesso. Non si può fare un bilanciamento di crudeltà, ma ritengo quanto successo a Regeni assimilabile a quello che è successo a Stefano Cucchi, a Federico Aldrovandi e a tanti altri rimasti vittime di chi li doveva proteggere”.

Veniamo al paradosso del caso Regeni.

“Che ci fosse un problema in Italia era a tutti evidente. L’atto del torturare non può essere assimilato ad altri reati, non può subire a livello normativo distinguo o paletti. Bisogna perseguire l’illegalità con la legalità. Legalità significa muoversi all’interno delle regole. Fare diversamente in nome dell’emergenza, e questo vale anche per il terrorismo, significa fare default rispetto alla democrazia. Lo Stato non può permettersi, come vorrebbe qualcuno, di garantire sicurezza violando dei diritti civili”.

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