Politica
1 Febbraio 2024
Intervento di Romeo Farinella contro “quel populismo narrativo che nasconde i problemi e il merito delle cose per garantirsi il consenso”

Decarbonizzare la città, disinquinare il dibattito

di Redazione | 6 min

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di Romeo Farinella*

Gli schieramenti per le prossime elezioni comunali si stanno definendo, o perlomeno possiamo ora associarli (salvo sorprese) al volto di tre persone. Sul fronte dei programmi le carte però non sono ancora tutte sul tavolo. La Comune ha indicato un percorso programmatico chiaro, perlomeno in alcune direzioni, il programma di chi è rimasto attorno al tavolo delle opposizioni non è ancora noto, le forze che sostengono l’attuale giunta non hanno bisogno di presentare un programma, già si vede, da quello che hanno fatto e che fanno, quali saranno le loro priorità.

Se dovessimo basarci sulle finalità dichiarate da tutti sicuramente Ferrara si dirigerà a gonfie vele verso la transizione ecologica attraverso politiche sostenibili. Bella prospettiva ma un po’ vacua. Mi ricorda una vignetta di qualche anno fa dove i semafori erano alberi e, nonostante la luce verde, le automobili (forse elettriche) erano imbottigliate nel traffico, il commento era: “finche si resta sul generico siamo tutti verdi”.

Ecco il generico (o peggio il volutamente generico) è ciò che in questi anni alimenta molta comunicazione green. Si ostentano percorsi, politiche e rigenerazioni eco-sostenibili non confermate dalle azioni concrete o spesso se confermate, discutibili. L’abbiamo visto anche a Ferrara, ai tempi del Feris.

Nelle ultime settimane in città molte persone hanno lavorato alla presentazione di osservazioni al nuovo Pug seguendo la procedura prevista dalla legge regionale n.24/2017. Sappiamo che le procedure vengono stabilite dalle leggi mentre i processi reali sono appannaggio della politica e quindi, di chi amministra una città. Questo per dire che il coinvolgimento della città in un processo importante quale è l’elaborazione di un nuovo piano urbanistico può seguire due strade: o più burocratica o più inclusiva. Nel caso di Ferrara si è scelta la prima strada.

“Coinvolgimento della città” è comunque una espressione generica, perché le città sono “organismi” multi-attoriali. Ci sono attori forti che per ribadire il loro pensiero alzano il telefono e chiamano direttamente il sindaco, altri si riconoscono ancora nei partiti che sono una delle manifestazioni della democrazia, poi ci sono cittadini, caso mai associati tra di loro, che chiedono udienza ma non vengono mai ricevuti a palazzo. Ci sono associazioni e categorie che vivono anche di contributi o incarichi pubblici, quindi meglio non commentare o criticare per non irritare il manovratore. Altre ancora lavorano per far valere i diritti dei più deboli o per contrastare le disuguaglianze e la povertà crescente e sono sempre in prima fila. Gruppi di cittadini si riuniscono anche per migliorare i loro quartieri, ponendo spesso dei temi di interesse generale, e ci sono infine coloro che vivono la quotidianità immersi nei loro problemi e nelle loro relazioni parentali e amicali. Tutto questo per dire che parlare di coinvolgimento della città può essere generico. E mi pare che la strada perseguita da questa amministrazione sia stata, su questo tema, più enunciativa e retorica che orientata al coinvolgimento della società civile nelle sue multiformi componenti, dunque attenzione a chi “conta” (o per peso economico o perché potenziale bacino di voti) e disinteresse per il resto.

Le sfide che abbiamo di fronte oggi a Ferrara e nel mondo sono più rilevanti di ieri perché anche le scelte economiche, di “sviluppo” avremmo detto un tempo, fanno tremare le vene ai polsi vista la mutazione climatica in atto. Affermare in un programma elettorale che “decarbonizzare” la città è una finalità imprescindibile di una politica di governo, come ha fatto Anna Zonari, richiede una grande assunzione di responsabilità e quindi delle azioni precise che si legittimano in un quadro ampio, in una prospettiva di grande respiro. “Decarbonizzare” significa fare scelte chiare in termini di energia, di mobilità, di beni comuni, di diritto alla casa, all’istruzione e alla cultura, di diritto alla città come diritto collettivo fondato sulla condivisione e tolleranza, sul diritto al benessere, alla sicurezza, e direi anche alla felicità, nel senso di creare le condizioni di accesso ai servizi e alle opportunità che possono transitarci verso una condizione “felice”, consapevoli che per esserlo realmente sono necessarie anche altre condizioni personali.

Significa essere consapevoli che la creazione di nuovi parchi e l’aumento degli alberi in città, la rigenerazione urbana, la mitigazione delle isole di calore, il ridisegno degli spazi pubblici, gli interventi per la mobilità sostenibile hanno certamente un effetto positivo sulla transizione ecologica, ma scatenano anche investimenti finanziari e immobiliari di lusso che possono generare disuguaglianze, allontanando sempre più i cittadini a basso reddito. Solamente una strategia fondata quindi su “valori non negoziabili”, da definire all’interno di un processo partecipativo con le comunità locali, può dare un senso ampio e condiviso a quelle azioni. Va evitato che la città della transizione ecologica slitti verso una eco-gentrificazione trasformata in strumento di esclusione o espulsione. Vanno approfondite esperienze come Vienna, che potremmo considerare la capitale europea dell’edilizia sociale che intelligentemente utilizza le grandi riserve di terreni edificabili di cui è proprietaria per esercitare un certo controllo sul mercato immobiliare, come si poteva fare nel Feris.

Papa Francesco nei suoi testi consacrati alla crisi ambientale ci ricorda che ogni cambiamento ha bisogno di motivazioni e di un cammino educativo. Dagli articoli letti in questi ultimi tempi su temi quali Cpr, problema dell’abitazione sociale, mobilità urbana, l’impressione è che la strada che si è imboccata a Ferrara sia alquanto diseducativa, perché non si stimola il confronto aperto e franco sulle questioni in gioco, nelle quali si è in disaccordo ma, al contrario, si denigra e si delegittimano gli interlocutori.

Quindi la posta in gioco nei prossimi mesi non sarà quanti alberi in più avremo, ma se le “foreste” e i parchi urbani che costruiremo saranno condivise e includenti, paesaggisticamente rilevanti, se diventeranno degli incubatori di biodiversità o se al contrario saranno degli artifici per nascondere degli enormi ricoveri di auto e furgoni tra la campagna, qualche albero e l’argine del Po o per trasformare un bene monumentale come le mura in un grande parcheggio come sta avvenendo in tutto il tratto sud, da San Giorgio al Mof, deforestando il sottomura (alla faccia delle foreste urbane annunciate) o per pavimentare totalmente spazi come “Cortevecchia” o l’ex stazione autobus del Mof, con l’ausilio di qualche albero, dicendo che si contrastano le isole di calore.

Anche a Ferrara ha preso forma quel populismo narrativo che nasconde i problemi e il merito delle cose dietro racconti retorici necessari per garantirsi il consenso, per tale ragione in una campagna elettorale è necessario “decostruire” tali narrazioni, contrastare la “sovra-informazione” che disinforma, e riportare le parole chiave dentro un nuovo senso comune: anche questo è “decarbonizzazione”. Il dibattito va quindi disinquinato mettendo al centro il tema chiave costituito dall’intreccio tra i contrasti alle mutazioni climatiche e la lotta alle diseguaglianze, agendo sul “locale” con una prospettiva che deve contribuire a migliorare anche il “globale”. Perché se questi termini non si intrecciano, la “decarbonizzazione” di qualcuno avverrà a discapito di qualcun altro.

*professore di Urbanistica

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