Cronaca
27 Ottobre 2010
Don Bedin racconta il silenzio della Chiesa di Ferrara sul caso Aldrovandi

Quelle porte del duomo rimaste chiuse

di Marco Zavagli | 3 min

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“Federico è stato una pietra di scandalo, nel senso evangelico del termine, perché di fronte alla sua tragedia ognuno di noi si è dovuto schierare. Anche chi ha scelto il silenzio si è schierato”. È don Domenico Bedin a parlare. E le sue sono parole che escono con la forza di uno sfogo a lungo trattenuto.

L’occasione arriva dalla presentazione capitolina alla libreria Bibli di via dei Fienaroli a Trastevere del libro “Aldro”. Con lui a Roma, per commentare l’opera della ferrarese Francesca Boari, erano presenti lunedì pomeriggio, oltre alla madre di Federico Adrovandi, Patrizia Moretti, il prof. Carlo Bordini (che insegna Storia Moderna all’università “La Sapienza”), Federica Margaritora (caporedattrice di Radio in blu), Stefania Zuccari (madre di Renato Biagetti).

Don Bedin ha preso spunto dal titolo dell’iniziativa, “Pietra d’inciampo”, organizzata dagli amici romani di Federico , per spiegare che nella vicenda del ragazzo morto 5 anni fa durante una colluttazione con quattro agenti di polizia “la pietra di inciampo è stata un’altra madre”: Anne Marie Tsegue, l’unica testimone oculare che ha testimoniato volontariamente al processo.

“Quando Anne Marie Tsegue vide i quattro poliziotti contro Federico – ricorda Bedin -, chiamò il figlio, per fargli vedere cosa succedeva a non comportarsi bene e fare tardi. Quando si accorse però della violenza che si stava compiendo lo mandò a letto e si nascose lei stessa dietro le persiane. Poi ha accettato di testimoniare perché lei è una donna profondamente giusta. E ha dei figli. E ascolta la voce che, da credente, viene da Dio”.

A differenza di questa donna camerunese, invece, “tante istituzioni sono inciampate. Ad esempio, e mi spiace doverlo dire, è inciampata la Chiesa di Ferrara – continua il presidente di Viale K -. Quando mi resi conto della gravità di quanto era successo, cercai di coinvolgere la comunità cristiana e un po’ alla volta mi sono accorto che per molti era più facile difendere le istituzioni, a prescindere da come fossero avvenuti i fatti”.

Il relatore fa notare come i genitori di Federico “non furono nemmeno ricevuti a Ferrara dal vescovo Paolo Rabitti, mentre vennero ricevuti e parlarono a lungo con il cardinale Tonini a Ravenna”. Non solo. Don Bedin svela particolari inediti di quel periodo: “il giorno della manifestazione nazionale, a un anno di distanza dalla morte di Federico, si scelse di tenere le porte del duomo chiuse e io ricevetti una telefonata “paterna” con la quale mi fu cortesemente vietato di parteciparvi”.

Ecco forse allora cosa intendeva don Bedin al principio del suo discorso, quando specifica che anche chi ha scelto il silenzio si è schierato: “eppure alla festa della Polizia di stato, pochi giorni dopo, il vescovo partecipò. Ricordo ancora le sue parole: ‘Sono con voi in un momento molto difficile per la vostra realtà’”.

Ancora oggi la Chiesa estense non è capace di fare autocritica – conclude amaro il sacerdote della parrocchia di Sant’Agostino di Ferrara -: la vicenda di Federico per la nostra comunità cristiana non esiste. Eppure io credo che una comunità può crescere quando si raffronta con questi drammi e si mette dalla parte della verità. Più che la cronaca e il processo, sarà la storia a giudicare”.

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