Spettacoli
2 Settembre 2021
Il cantautore atteso sul palco del Comfort festival, per un concerto ricco di rock’n roll e blues

Edoardo Bennato: “Il segreto di Ferrara? Essere propositiva”

Edoardo Bennato
di Redazione | 6 min

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Edoardo Bennatodi Michele Govoni

Lui è uno degli artisti più attesi del Comfort Festival, la manifestazione musicale organizzata Barley Arts con la produzione organizzativa del Teatro Comunale di Ferrara e il patrocinio del Comune di Ferrara, che venerdì e sabato prossimi proporrà a Ferrara, nello spazio del Parco Bassani qualità musicale, sostenibilità, multidisciplinarietà, suggestività della location e cura dei dettagli.

Parliamo di Edoardo Bennato, il cantautore partenopeo che da diversi decenni non solo propone ottima musica in stile rock e blues, ma fa offre occasioni di pensiero, motivi di indignazione, idee per vivere una vita che senza impegno civico ha meno senso di essere vissuta.

Lo abbiamo raggiunto telefonicamente in Sardegna dove l’artista si trova per una serie di concerti.

Bennato, partiamo subito con una domanda diretta: cosa proporrà sul palcoscenico di Ferrara?

Carica energetica, vitale, terapeutica, eversiva, ma comunque propositiva. La musica che penso di fare è rock’n roll e blues attingendo la sua carica dai paradossi e dalle schizofrenie della nostra società e di noi singoli individui. Il territorio è chiaramente “minato” e quindi devi essere al di sopra delle parti, evitando di essere retorico, didascalico, cattedratico, paternalistico e moralista.

E poi c’è il problema della lingua italiana che è difficile da manipolare (a differenza dell’inglese) e con cui è difficile trovare suoni che si complementarizzino con la tensione del rock.

La musica leggera ha il compito di svagare, di aiutare le persone a non riflettere. E’ il suo compito e lo assolve bene. Non è che il rock abbia le pretese di cambiare il mondo, però ha quello di aiutare a riflettere, a pensare alle schizofrenie dei singoli sia a quelle di una società che si definisce lucida e invece è completamente schizofrenica.

Restando sui contenuti, in una sua recente intervista ha affermato che le favole servono a ridicolizzare e ironizzare su certi aspetti paradossali della nostra società. In tempi come questi ha ancora senso raccontare le favole e se sì come ha senso raccontarle?

Io non è che sappia quello che ha senso e quello che non ha senso. Io ho tanti dubbi, soprattutto in questo periodo. Tutti quanti noi, anche quelli di noi che hanno più esperienza di vita vissuta e di conoscenza, si sentono spaesati, confusi, avviliti, nel senso che non si riesce a decifrare bene quello che succede e che succederà.

Io dal palco, sollecitato da mia figlia adolescente invito tutti a coltivare i propri dubbi, anziché a farsi scudo delle proprie certezze, sempre sul filo dell’ironia e della provocazione. Io stesso, nonostante la mia esperienza di vita vissuta, vedo crescere costantemente i miei dubbi ma non me ne faccio un dramma perché è proprio dal dubbio che nasce la propositività e la ricerca di un confronto con chi in teoria la pensa in modo diverso da te; il progresso nasce dal dubbio, non dalle certezze.

Il canovaccio delle favole serve ad evitare di essere paternalistici e didascalici, perché se assumo, per esempio, il canovaccio di Collodi, diventa tutto più semplice. Tra l’altro è incredibile come Collodi, centocinquant’anni fa abbia descritto una realtà schizofrenica e kafkiana come quella di adesso. La realtà che viviamo è fatta di “Mangiafuoco” che tiene in mano i fili, è fatta di “Gatti e Volpi” che utilizzano le velleità e le aspirazioni degli altri per trarne profitto, è fatta del “Grillo parlante”, del “Giudice” che, ahimè, Collodi descrive come un vecchio scimpanzé. La realtà che viviamo è “collodiana” e quindi ho fatto bene a suo tempo a utilizzare il canovaccio di una favola, prendendolo in prestito, rivisitandolo tutto.

Ho preso in prestito anche altre favole. Ho preso in prestito Peter Pan per evidenziare la dicotomia tra mondo maschile e mondo femminile; “L’isola che non c’è” presenta questi concetti.

Qual è la favola in questi momenti più attuale?

È quella che ho preso in prestito dalla favola tedesca del “Pifferaio di Hamelin” in cui la televisione è diventata l’unica divinità che offre tutte le indicazioni e le istruzioni. L’album ispirato a questa favola l’ho fatto uscire nel 1993 però poi ne ho rifatta una versione nel 2003 con tutti i miei amici musicisti. Ho preso il canovaccio di questa storia ma per descrivere, ironizzare e provocare perché il rock, come lo intendo io, ha questa funzione. Divertire, dare buone vibrazioni, ma anche ironizzare e invitare a riflettere.

Nel suo ultimo album “Non c’é” è presente un brano inedito che mi ha particolarmente incuriosito. Il titolo è “Il mistero della pubblica istruzione”. Cosa diciamo Bennato di questa pubblica istruzione di oggi?

Diciamo che è un mistero che in questo momento è in difficoltà perché in una società civile, propositiva, proiettata verso un futuro migliore è evidente che l’istruzione abbia un ruolo fondamentale. Ne parlo anche nel libro che ho pubblicato lo scorso anno, Girogirotondo Codex Latitudinis (pubblicato per i tipi de La Nave di Teseo), nel quale mi ostino a ripetere quanto sia importante conoscere la geografia per riuscire a decifrare i fatti della storia che sembrano fatterelli isolati e incomprensibili se non vengono complementarizzati con i parametri geografici perché serve a comprendere il cammino costante della famiglia umana.

Tutti questi sono concetti importanti che devono essere inquadrati nel contesto della complementarizzazione costante tra geografia e fatti della storia se vogliono essere realmente compresi e non invece manipolati da una fazione politica o un’altra.

Questo fine settimana si esibirà su un palco, di fronte al suo pubblico, quindi in una situazione di pseudo-normalità, dopo tutti gli eventi legati alla pandemia. Nella canzone che ha scritto con suo fratello “La realtà non può essere questa” dice che la realtà è “tutta da rifare”. Abbiamo iniziato a ricostruire questa realtà o ancora no?

E’ da sempre che la famiglia umana si ritrova a fronteggiare emergenze, a porre interrogativi, a cercare di capire cosa succede. Qual è il male minore e cosa fare per il futuro.

Mio fratello Eugenio è il mio asso nella manica. Lui con la sua laurea in fisica nucleare mi dispensa consigli utili da sempre, riuscendo ad essere un interlocutore positivo e talora anche a criticarmi. La canzone è una ballata alla Dylan che abbiamo composto nel marzo dell’anno scorso per muoverci e darci da fare nonostante il momento negativo.

Sempre lui mi ha invitato a scrivere brani provocatori per l’album “Non c’è”. Tipo “Maskerate”, il cui canovaccio deriva da uno sfottò al Presidente della Repubblica ed è un brano eversivo (si riferisce al brano “Uno buono” incluso nell’album “I buoni e i cattivi” del 1973 che rivolgeva uno sfottò all’allora presidente Leone n.d.r.). Poi ce ne sono anche di ottimistici e propostivi come “La bella addormentata” in cui parlo dell’area di Bagnoli, dell’ex Italsider che aspetta il bacio del principe per risvegliarsi.

Al di là di tutto, al di là di tutti, l’anno scorso siamo stati attivi. Io ho fatto un concerto con Eugenio all’Arena Flegrea a Napoli, ma anche al Festival Blues di Pistoia, ad agosto ero al Teatro Greco di Taormina, a settembre ero all’Arena di Verona. L’anno scorso non siamo stati con le mani in mano. Siamo stati “on the road”. Quest’anno ovviamente stiamo suonando di più e siamo sempre “on the road”.

Un’ultima domanda. Com’è il suo rapporto con la città di Ferrara?

L’Emilia Romagna è una regione in cui emerge il buonsenso della stragrande maggioranza della collettività. Per cui, al di là delle cosiddette regole e delle fazioni politiche, si riesce sempre in Emilia ad essere propositivi. E’ merito della comunità che non si limita soltanto a eleggere il “delegato”, ma lo si controlla perché tutto è in mano alla comunità. Questo è il segreto dell’Emilia e anche di Ferrara, questa capacità di essere propositivi.

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