Cronaca
2 Luglio 2020
Ivan Pajdek e Patrik Ruszo dicono che Feher fu tra i protagonisti dei violenti colpi del 2015 a Villanova di Denore, Mesola e Coronella. Il killer non partecipa all'udienza: “Non serve, ormai c'è la convinzione che debba essere condannato”

I due complici confermano: Igor partecipò alle rapine

di Daniele Oppo | 5 min

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Da sinistra: Ivan Pajdek e Patrik Ruszo

Igor il russo, ovvero Nobert Feher, c’era a Villanova di Denore, a casa di Alessandro Colombani e della madre, il 26 luglio; c’era a Mesola, a casa di Emma Santi il 30 luglio e poi il 5 agosto a Coronella, a casa della di Giulio e Cristina Bertelli.

Le deposizioni di Ivan Pajdek e Patrik Ruszo sono, al di là di qualche sfumatura, piuttosto concordi nell’individuare il killer serbo tra gli attori protagonisti delle rapine avvenute nell’estate del 2015 e che fecero da preludio all’omicidio di Pier Luigi Tartari, dove, secondo il solo Ruszo, ci sarebbe stato anche lui.

I due – già condannati per tali reati – sono stati sentiti mercoledì mattina come testimoni assistiti nel procedimento pendente a carico di Feher (difeso dall’avvocato Gianluca Belluomini) che, con un dichiarazione inviata via email dal carcere di Teixeira in Galizia, ha scelto questa volta di non partecipare: “Non è necessario che partecipi perché c’è la convinzione che io debba essere condannato”.

Che i giudici (il presidente Vartan Giacomelli e, a latere, Alessandra Martinelli e Andrea Migliorelli) abbiano tale convinzione è presto per dirlo, di sicuro le testimonianze di Pajdek e Ruszo non gli sono state amiche.

Il pm Andrea Maggioni

Il primo in particolare, rispondendo alla precise domande del pm Andrea Maggioni lo identifica come suo complice in tutti e tre i colpi, raccontati anche con una certa dovizia di particolari, a partire dai sopralluoghi effettuati insieme, poi sul bottino e sui ruoli di ciascuno. Per la rapina in casa Bertelli, dice Pajdek, “mi ha detto Igor”. E sempre il serbo, una volta dentro l’abitazione e con padre e figlia rintanati in cucina, “ha buttato giù la porta a calci”. Anche a casa di Colombani Igor avrebbe avuto un ruolo importante: “Voleva proprio le armi”, racconta Pajdek, in riferimento a quanto sapevano di trovare nell’abitazione. Feher protagonista anche delle brutalità subite dallo stesso Colombani – unica parte civile a processo -: “Igor lo teneva e Patrik (Ruszo, ndr) bastonava”. E sempre lui avrebbe parlato con la vittima, chiedendogli il pin del bancomat e poi minacciandolo.

Dettaglio importante, quest’ultimo, perché combacia con la convinzione di Colombani che a parlargli sia stato proprio il killer serbo e che proprio per questo, forse già nella prossima udienza, verrà sottoposto dal tribunale a una ricognizione vocale, per vedere se davvero riesce a riconoscerne la voce tra altre cinque.

Ma è la profonda conoscenza di Feher da parte di Pajdek a dare coerenza al racconto: “L’ho conosciuto molti anni fa, negli anni Novanta, in Serbia”, racconta ai giudici. Prima una conoscenza “tramite amici” da liberi, poi anche in carcere per un anno: “Non era come ora: avevamo telefonini, i nostri traffici, lui me li nascondeva”. Un rapporto così saldo, una volta uscito, dice Pajdek, “l’ho aiutato a fuggire dal carcere e se è venuto in Italia vuol dire che ci sono riuscito”. I due si ritrovano proprio nella Penisola, tra 2005 e 2007. “Ci frequentavamo, ci trovavamo spesso in carcere. Siamo stati fermati a Cesenatico e poi siamo andati in carcere a Forlì – ripercorre Pajdek -. Poi lui è stato a Rovigo e poi in carcere a Ferrara dal 2012 al 2015, io entravo e uscivo, lui c’era sempre”.

Lo screzio tra amici che secondo Igor avrebbe indotto Pajdek ad attribuirgli le colpe, secondo quest’ultimo nasce proprio da come sono andate quelle rapine: “Avevamo diversi pensieri sul lavoro, se io andavo a rubare non toccavo nessuno. Lo screzio – dice – era già cominciato quando hanno bastonato Colombani”.

C’è da dire che Pajdek tende – come fece già al tempo dell’omicidio Tartari, per il quale venne condannato a 30 anni in abbreviato – a scaricare sugli altri tutte le responsabilità delle violenze –  “Sono ladro, rubavo, ma non ammazzavo e non toccavo mai nessuno” – e presentarsi come colui che ha impedito – dicendo che andava via, essendo colui che aveva l’auto – che i Bertelli venissero legati, visto lo stato di salute e la paura dell’anziano padre, e di proseguire la rapina in casa Colombani, dopo aver visto la violenza degli altri due e sapendo che in casa c’era la madre, oltre che delle armi.

Da lui arrivano anche due altre indicazioni. La prima è che per la rapina a casa Colombani, l’imbeccata la ebbero da Afrim Bejzaku, uomo già noto in effetti per essere vicino a Igor, e che per un certo periodo ospitò anche Pajdek a Berra. La seconda è che nella rapina di Mesola è coinvolta anche Agata Farkasova, zia Patrik Ruszo, e oggi imputata per aver reso falsa testimonianza al processo Tartari. Lei si presentò a casa di Emma Santi con la scusa di chiedere un lavoro come badante, ma in realtà era tutta una scusa per capire chi vivesse in quella casa. La sua posizione, a questo punto, potrebbe essere oggetto di futuri approfondimenti investigativi.

Circostanze confermate dopo anche dallo stesso Ruszo. Quest’ultimo ha ammesso che a Mesola e Villanova di Denore era sul posto con Pajdek e Igor, ma ha detto di essere succube di entrambi e di essere sempre uscito dalle abitazioni mentre gli altri, evidentemente, facevano le rapine. Ha negato però di aver partecipato alla rapina ai danni di Colombani, quella in cui, secondo Pajdek, proprio lui picchiava la vittima con un bastone, pur avendo partecipato a un sopralluogo. Ruszo, infine, ha sostenuto nuovamente (come già fatto in altri procedimenti) che Feher partecipò al delitto Tartari, anche se finora, al di là delle sue dichiarazioni, non sono mai stati trovati altri riscontri.

L’udienza è stata aggiornata al 15 luglio, quando dovrebbe avvenire la ricognizione vocale e verrà sentito anche uno degli investigatori della Squadra mobile.

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