Terre del Reno
9 Maggio 2018
Condannati il legale rappresentante di Tecopress e la responsabile della sicurezza per la morte dell'operaio Gerardo Cesaro. Assolti i progettisti del capannone caduto

A Ferrara le prime condanne per il sisma

di Daniele Oppo | 3 min

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Lo stabilimento Tecopress

È una sentenza a suo modo storica quella pronunciata dal giudice Vartan Giacamelli per i crolli alla Tecopress di Dosso, avvenuti durante il terremoto del maggio 2012. Per la prima volta, per quel fatale sisma che colpì l’Emilia, un tribunale riconosce la responsabilità del datore di lavoro per non aver garantito la sicurezza del capannone e aver cagionato così la morte di un operaio, Gerardo Cesaro.

Enzo Dondi, legale rappresentante della Tecopress, ed Elena Parmeggiani, responsabile per la sicurezza, sono stati infatti condannati entrambi a 6 mesi di reclusione per quella morte, pur con il beneficio della sospensione condizionale e della non menzione. Una condanna, quella pronunciata martedì pomeriggio, che accoglie così in parte la richiesta di pena della procura, riconoscendo la responsabilità della parte datoriale, escludendola invece per  i due progettisti del capannone originario (risalente all’anno 1992) Dario Gagliandi e Antonio Proni e del collaudatore del tempo Modesto Cavicchi che sono stati tutti assolti.

«È una sentenza che porta avanti il pensiero e la linea seguita dalla procura di Ferrara», commenta il sostituto procuratore Ciro Alberto Savino che in questi anni ha perseverato in un’impostazione tesa all’attribuzione di responsabilità per i crolli e le morti durante il sisma, in aperto contrasto con le archiviazioni che invece hanno contraddistinto tutti i procedimenti simili a Modena e che sono state usate come prove a discarico degli imputati.

In estrema sintesi, l’accusa si fondava sulla violazione del decreto legislativo 81 del 2008 che avrebbe dovuto imporre a Dondi e a Parmeggiani l’adeguamento delle strutture (costruite in un epoca in cui l’Emilia non era considerata ufficialmente zona sismica, cosa avvenuta nel 2003) e delle pratiche di sicurezza per minimizzare il rischio sismico. Un’impostazione, questa, che era stata prospettata al tempo dalla parte civile (avvocato Fabio Anselmo per la famiglia Cesaro), al momento dell’opposizione a una prima richiesta di archiviazione.  Per quanto riguarda i progettisti, anche qui in sintesi, l’accusa (che chiese una condanna a 4 mesi) sosteneva che, pur non essendoci una normativa cogente, la modalità di costruzione del capannone non fosse stata la migliore possibile al tempo.

La procura aveva chiesto comunque pene minime con tutte le attenuanti e i benefici possibili: «Questo processo non ha bisogno di pene epocali, ma di un’affermazione di penale responsabilità – disse il pm Savino nella sua requisitoria -. Non siamo di fronte a criminali per cui evocare la carcerazione. Occorre non una condanna esemplare ma una condanna che fissi un principio per Ferrara e a livello nazionale: quello della tutela della sicurezza del luogo di lavoro e dei lavoratori e dell’utilizzo di concetti avveduti nella costruzione». È la stessa impostazione che si ritrova anche in un altro procedimento relativo ai crolli per il sisma del 2012, quelli avvenuti alla Ceramica Sant’Agostino, dove morirono Nicola Cavicchi e Leonardo Ansaloni. E anche lì il pm – che è sempre Savino – ha chiesto pene minime, simboliche.

«Vedremo le motivazioni (a 90 giorni, ndr) ma abbiamo ancora un grado di merito e, nel caso, anche uno di legittimità», commenta l’avvocato Andrea Marzola, nel collegio di difensori sia di Dondi che di Parmeggiani.

Prima della pronuncia del giudice, arrivata alle 17, c’erano state le repliche del pubblico ministero Ciro Alberto Savino – che ha puntualizzato alcuni punti contestati nelle arringhe difensive – e le controrepliche degli avvocati Marco Gallina (per Gagliandi), Irene Costantino (per Cavicchi) e Giancarlo Bozzi (per Proni).

In aula, oltre agli imputati, come sempre e nonostante abbiano abbandonato la loro veste processuale di parti civili dopo l’accordo sul risarcimento, c’era anche la moglie di Gerardo Cesaro, Catia Zuccheri, accompagnata dai due figli: «I capannoni devono essere sicuri, il punto è sempre quello», è l’unico commento che rilascia ai taccuini. «Siamo molto soddisfatti – commenta infine l’avvocato Anselmo -, è stato riconosciuto un principio importante e fondamentale».

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