C’è ancora una speranza per la famiglia di Valerio Verri per portare davanti a un tribunale coloro che ritengono responsabili indiretti della morte del proprio caro.
Il gip Monica Bighetti ha fissato un’udienza per discutere l’opposizione alla richiesta di archiviazione della procura. In camera di consiglio, il prossimo 13 febbraio, si discuterà dell’esposto che Francesco ed Emanuele Verri presentarono in seguito all’omicidio di loro padre, l’8 aprile 2017, per mano di Norbert Feher, alias Igor Vaclavic, avvenuto alle porte di Portomaggiore.
Il pm Alberto Savino aveva chiesto l’archiviazione. Dalle indagini svolte in via Mentessi “nessun elemento investigativo faceva presagire concretamente la presenza del ricercato nelle zone del Mezzano”, nonostante il killer avesse già colpito a Consandolo il 30 marzo (aggressione alla guardia della Securpol) e a Budrio, con l’omicidio di Davide Fabbri.
Invece, secondo l’avvocato Anselmo che assiste la famiglia, gli elementi sono molteplici. E si inquadrerebbero anche in specifiche ipotesi di reato: omissione di atti d’ufficio e morte quale conseguenza di altro delitto.
Nelle 56 pagine con cui si chiede alla procura di riaprire le indagini sui fatti dell’8 aprile si enuclea una sequenza di avvenimenti che traccia la storia del killer di Budrio e Portomaggiore ma soprattutto quello che è stato fatto, o non è stato fatto per fermarlo.
A partire da quel tragico pattugliamento nel Mezzano, quando Verri, guardia volontaria disarmata e non addestrata a compiti di pubblica sicurezza, si trovava in auto con l’agente di polizia Marco Ravaglia quando incontrò Igor.
Perché i due erano quel giorno all’interno di quella che di lì a breve diventerà la “zona rossa” conosciuta in tutte le cronache nazionali? Secondo i figli della vittima qualcuno aveva elementi più che sufficienti, ma non li ha comunicati. A chi? In primo luogo al prefetto, che a livello provinciale è l’autorità di pubblica sicurezza e che, ricorda l’opposizione all’archiviazione, “deve essere tempestivamente informato dal questore e dai comandanti provinciali dell’Arma dei Carabinieri su quanto abbia attinenza con l’ordine e la sicurezza pubblica nella provincia”.
Lo stesso vale, in seconda istanza, per il questore. Ma né il primo né il secondo hanno potuto avere “il quadro completo ed effettivo delle indagini in corso”, cosa che “ha impedito a tali autorità da un lato, di coordinare le attività investigative finalizzandole a quell’effettivo scambio di informazioni tra le diverse autorità di pubblica sicurezza competenti, che avrebbe permesso una maggiore pregnanza delle indagini, indirizzandole in modo specifico con riguardo a soggetti e luoghi; dall’altro lato di adottare le necessarie misure di sicurezza e prevenzione della pubblica incolumità. Misure che purtroppo in questo modo furono adottate solo successivamente all’ulteriore omicidio di Valerio Verri”.
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