Attualità
9 Luglio 2017
Agli Emergency Days un confronto promosso dall'associazione di Gino Strada e Avis

Il bisogno di sangue tra pace e guerra

di Redazione | 4 min

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Un confronto per analizzare e discutere sulle difficoltà e le differenti modalità di raccolta e distribuzione del sangue nei paesi in pace e in quelli in guerra. È questo l’obiettivo dell’incontro ‘Diritto alla salute: il bisogno di sangue nelle zone di pace e di guerra’ organizzato all’interno degli Emergency Days da Avis e dall’associazione fondata da Gino Strada, momento che è servito per sottolineare come anche questo rappresenti “un piccolo passo per garantire uno dei principali diritti della Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo”.

Dopo le presentazioni delle due associazioni a raccontare la situazione italiana è Giancarlo Liumbrino (direttore del Centro nazionale sangue): “In Italia – introduce Liumbrino – annualmente si definisce un programma annuale di raccolta e distribuzione di sangue e possiamo affermare che da diversi anni ci troviamo in autosufficienza grazie a scambi programmati tra regioni. L’Emilia Romagna e altre regioni del centro nord Italia producono più di quello di cui necessitano ed esportano al sud e nelle isole il sangue dove ci sono buone capacità di produrre ma anche tanti pazienti da soddisfare”.

Diversa la situazione invece in paesi come l’Afghanistan, come descrive Michela Paschetto (coordinatrice del medical division di Emergency): “L’Afghanistan non viene più considerato un paese in guerra ma in realtà lo è da ormai 40 anni e la tematica sangue è difficile da affrontare quando si è in emergenza – spiega la coordinatrice -. Tutti gli stati hanno leggi che vanno seguite e non si può esportare sangue da altri paesi senza accordi internazionali mentre diversa è la questione dei militari in cui si possono spostare sacche di sangue dalle nazioni di provenienza alla base in cui risiedono”. Secondo Paschetto “in Afghanistan esistono banche del sangue ma il livello tecnologico e di controllo è abbastanza dubbio, basti pensare che la sua capitale Kabul per molte ore al giorno è senza elettricità e questo per una banca del sangue è un grosso problema così come lo sono i trasporti da una regione ad un’altra. Emergency, sin dal 1999 quando è arrivata in Afghanistan, ha sempre applicato una politica di raccolta diretta del sangue attraverso una sensibilizzazione della popolazione e abbiamo una banca del sangue interna agli ospedali grazie ai famigliari dei pazienti, privati ed associazioni di volontariato soprattutto universitarie e religiose”.

“Abbiamo una scorta di sangue che ci permette di trattare i bisogni giornalieri e nei casi di esplosioni di bombe o altre emergenze contattiamo subito i donatori” prosegue la coordinatrice di Emergency che si sofferma successivamente sulle altre difficoltà dei territori in cui operano. “Nelle zone di guerra usiamo sangue intero, che in Italia viene usato poco, perché non ci sono le tecnologie e le conoscenze per produrre i suoi derivati e perché i laboratori sono complessi da gestire in quelle situazioni – chiosa Paschetto -. Tra un anno partirà il progetto dell’ospedale chirurgico pediatrico in Uganda e sarà una grossa sfida perché viene stimato che 5 miliardi di persone al mondo non hanno accesso alla chirurgia e tra questi la maggior parte sono bambini e donne”.

La parola passa quindi ad Alice Simonetti (segreteria Yic Youth forum Fiods-Ifbdo): “In 80 paesi divisi in 4 continenti ci sono associazioni di volontariato che raccolgono sangue e c’è una collaborazione trai paesi con accordi bilaterali ma anche con l’Oms – dichiara Simonetti -. L’obiettivo del nostro forum è quello di informare e scambiare buone prassi tra nazioni e ci fa piacere vedere che c’è ancora molto da conoscere e per questo auspichiamo maggiore collaborazione”.

“Avis ed Emergency sono accomunate da due cose: il ruolo fondamentale dei volontari e l’imparare a fare condividendo il know how”, afferma ancora la Simonetti, mentre sul finale è la deputata Paola Boldrini, seduta tra il pubblico, a intervenire e raccontare cosa si è fatto e quali sono gli obiettivi per il futuro nel nostro Paese. “Dobbiamo perseverare – conclude Boldrini – e mantenere un sistema universalistico della salute anche se il momento è critico. E’ positivo il recente sblocco dei Lea che verranno aggiornati periodicamente ma i fondi per la sanità non sono sufficienti ed è importante l’intervento dell’Università che permetterà attraverso la ricerca di abbattere i costi”.

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