di Federica Pezzoli
“Vicino è solo il Dentro, tutto l’altro è lontano.
E questo Dentro è denso e quotidiano
folto di cose e del tutto indicibile.
L’isola è come stella troppo piccola; di lei
lo spazio non si accorge e la cancella,
muto, tremendo nella sua incoscienza,
così che illuminata o udita,
sola,
perché tutto abbia finalmente un termine,
oscura per un orbita che da se stessa inventa
s’avventura alla cieca, estranea al corso
delle stelle erranti, dei soli e dei sistemi”.
(Rainer Maria Rilke, L’isola III, da Nuove poesie)
Un dentro troppo grande per un fuori troppo piccolo, così si potrebbe sintetizzare il nuovo libro di Francesca Boari, “Un dentro tanto grande” (Cicorivolta edizioni), presentato con Stefano Caracciolo dell’Università degli studi di Ferrara, venerdì pomeriggio all’ultimo piano della libreria Ibs-Libraccio in piazza Trento Trieste.
Come gli altri suoi lavori precedenti – come “Aldro”, ispirato alla vicenda Aldrovandi (Corbo), “Piovono sassi dalcielo” (Cicorivolta) e il più recente “Ragazzi cari vi odio, vi amo”, sulla sua esperienza di insegnante – forse anche questo “non è proprio un romanzo – come ha spiegato la stessa Boari – piuttosto un’urgenza di dar voce”: ecco perché la scelta di scrivere in prima persona una sorta di diario in cui si mescolano una storia vera, reale, letteratura, poesia e filosofia.
Attraverso le pagine, il lettore entra dunque nei pensieri più intimi della protagonista, una donna che soffre di disordini alimentari, e viene trascinato in una spirale di dolore e di violenza. Il marito, infatti, incapace di comprendere il suo disagio e di aiutare la propria compagna, la picchia e la mortifica non solo per la sua malattia, ma per ogni piccola, minima mancanza.
Nel libro si parla dunque di violenza di genere, ma soprattutto di dolore, malattia, mancanza, o meglio incapacità, di comunicazione: questa donna, ha detto l’autrice, “ha problemi alimentari, con il suo corpo e con la sessualità”, ma al fondo c’è la fatica “di vedere l’altro e se stessa”. Questa protagonista senza nome, perché questa potrebbe essere la storia di tante donne, “ha un rapporto tragico con il proprio corpo, vorrebbe nascondersi, scomparire”, ha continuato Boari, “quando guarda le altre donne e le altre persone, il suo sguardo è di odio, invidia, incomprensione: non le interessa comprendere gli altri perché lei stessa non viene compresa”. E questa incapacità di una comunicazione sana al di fuori di sé deriva “da un mancato riconoscimento di sé”.
Nello stesso tempo però questa protagonista si rivolge a chi la legge: “Non sto bene, lo dico a voi”. Un grido di aiuto e un barlume di speranza per uscire da un dolore fisico e psicologico che è allo stesso tempo un guscio protettivo e una prigione opprimente.
Lei si rivolge alla pluralità che sta fuori perché questo racconto breve, che narra il dolore dell’altro da sé, è diventato “scrittura terapeutica”, come ha confessato Boari al pubblico dell’Oratorio San Crispino, e “vuole essere terapeutica anche per chi legge”. Per riconoscere e raccontare il dolore dell’altro, tuttavia, “bisogna prima ascoltarlo e poi cercare di tradurlo in parola scritta”, ha spiegato l’autrice.
Per questo Francesca Boari ha dedicato “Un dentro tanto grande” ai “maestri del silenzio e dell’ascolto”, come li ha definiti lei stessa, “perché oggi l’ascolto è la cosa più difficile”.
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