Economia e Lavoro
23 Settembre 2014
Il deputato critica vincoli di Maastricht e flessibilità del lavoro e chiede politiche statali a livello fiscale e monetario

La Malfa ‘liberale ma non liberista’ contro la crisi

di Ruggero Veronese | 4 min

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unnamed (28)Sala conferenza gremita al Circolo dei Negozianti per l’incontro che vede il deputato ed ex ministro Giorgio La Malfa raccontare la storia economica dell’Italia attraverso il suo saggio “Cuccia e i segreti di Mediobanca”, organizzato dall’associazione Attiva Ferrara – Cervelli in Movimento. Un dibattito in cui il politico ed ex docente universitario, figlio del fondatore del Partito d’Azione, Ugo La Malfa, si addentra in un’analisi economica di matrice dichiaratamente liberale ma tutt’altro che liberista, proponendo politiche economiche e fiscali da parte degli Stati e sollevando critiche esplicite alle politiche dell’Unione Europea e al ruolo giocato dagli ultimi governi italiani.

La riflessione di La Malfa viaggia sul continuo confronto tra la depressione dei mercati degli anni ’20 e quella che si trovano ad affrontare i governi contemporanei, trovando paralleli e similitudini ma senza trascurare le opportune distinzioni tra due epoche profondamente diverse. Primo tra tutti l’avvento del capitalismo, che rende inapplicabili numerose delle politiche statali un tempo efficaci per la ripresa delle economie nazionali. Una conclusione a cui La Malfa arriva dopo aver ripercorso brevemente la storia del capitalismo italiano, ultimo nato tra i paesi europei (nella seconda metà dell’800, con quasi un secolo di ritardo rispetto all’Inghilterra e diversi decenni rispetto a Francia e Germania) e fin dal principio legato a doppio filo con le sorti degli istituti di credito: “Chi ha un’idea e vuole andare sul mercato ha sempre avuto bisogno di investitori e in Italia questi erano rappresentati solo dalle banche, che in questo modo diventano ‘cointeressate’ a tutti questi investimenti”.

Una premessa necessaria per capire il perchè della successiva crisi ma, soprattutto, delle soluzioni adottate: “Il primo drammatico errore lo fece Mussolini quando stabilì la ‘quota 90’ (ovvero la rivalutazione ‘artificiosa’ della lira in rapporto alla sterlina, ndr). Lo fece per ridare prestigio al paese: un principio simile a quello della Germania odierna che vuole un euro forte, ma questo causa una forte deflazione. Nel ’29, quando la follia americana porta all’esplosione della bolla immobiliare, la crisi si trasferisce in Europa e porta la devastazione nel sistema bancario”. Un sistema bancario che, come premesso, era il più grande portatore di interesse nel capitalismo italiano. Ecco quindi, nel dopoguerra, sopraggiungere ‘la cura’ statale: l’Iri. “L’istituto per la Ricostruzione Industriale – spiega La Malfa – nacque perchè la crisi era talmente profonda che bisognava ripartire da zero con una soluzione radicale: togliere alle banche tutti i crediti di difficile gestione e smaltirli un po’ alla volta sul mercato”.

unnamed (26)Un rimedio efficace per quelli che secondo il deputato erano stati gli errori commessi in precedenza dalle banche, primo tra tutti uno scarso controllo sulla qualità degli investimenti. A questo riguardo La Malfa parla anche del ruolo di Mediobanca, l’istituto a suo avviso ‘virtuoso’ fondato da Enrico Cuccia che fu in grado di contribuire alla rinascita appoggiando importanti investimenti nei decenni del dopoguerra. Ma sarebbe ancora possibile una soluzione ‘statalista’ come quella dell’Iri nella attuale crisi economica? Secondo La Malfa il ruolo dello Stato è oggi più che mai indispensabile, ma ormai i tempi sono cambiati: “Non credo sarebbe più pensabile, innanzitutto a causa del contrasto di fondo tra le regole di Maastricht e l’economia reale. Oggi l’Europa chiede i conti in ordine e un mercato del lavoro flessibile, ma se vogliamo rispettare questi dettami la depressione continuerà. Lo ha ammesso anche il presidente della Bce, Mario Draghi: la crisi non è di offerta, ma di domanda. L’Europa dovrebbe svalutare il proprio tasso di cambio, e ha cominciato a farlo, e stimolare la spesa pubblica o la riduzione delle tasse”.

Il tutto per far tornare risorse in circolazione per le spese private e far ripartire i consumi interni. Ma questo, pur in un’ottica liberale, non può essere attuato senza il ruolo degli Stati: “L’illusione liberista sulla autoregolamentazione del mercato è finita nel 2008 – afferma il deputato -, perchè avevamo dimenticato la lezione degli anni ’30. Oggi servirebbero politiche kaynesiane: effettuare spese ben concepite e ridurre le imposte dove possibile. Se anche il direttore della Bce afferma che occorrono politiche fiscali, significa che la situazione è molto grave”.

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