Attualità
26 Marzo 2013

Per lo spazio, ci vuole tempo

di Elena Bertelli | 6 min

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25Aprile. “La libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare”

“La libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare, quando si sente quel senso di asfissia che gli uomini della mia generazione hanno sentito per vent’anni, e che auguro a voi di non sentire mai”. 

È con le parole di Piero Calamandrei – tra i padri fondatori della Costituzione – che il sindaco Alan Fabbri apre il suo intervento durante la celebrazione del 25 aprile, dopo l’alzabandiera e il picchetto d’onore. 

Nella tarda mattinata di ieri, passeggiando per una Ferrara appena attraversata dai maratoneti e guardando incuriosita i reduci dell’impresa camminare verso casa a gambe larghe e sul volto la smorfia che tradiva il malaugurato insinuarsi dell’acido lattico tra le fibre dei muscoli induriti dallo sforzo, mi sono sentita un po’ come loro. Piena di quella fatica che solo il brunch dell’Irene poteva alleviare, ma soddisfatta per aver tagliato il traguardo insieme ad altri compagni, prima sconosciuti, con i quali ho avuto modo di stringere un legame durante la corsa. 

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Sono giunta al quarantaduesimo chilometro sabato sera, in via Darsena 57, mi sono trovata esausta sotto le luci che illuminavano le opere della mostra finalmente inaugurata a Wunderkammer. Gli atleti che hanno corso con me portavano sulle pettorine la scritta Basso Profilo, Centro Studi Dante Bighi e Piano Antonioni. Abbiamo brindato con gioia al risultato ottenuto tra le note di ‘This boots are made for walking’ e ci siamo dati appuntamento alla prossima impresa.La presentazione della mostra omaggio ad Antonioni ‘Is Michelangelo dead?’ (http://www.estense.com/?p=287155) seguita dalla conferenza sul regista e la proiezione dei suoi documentari, ha concluso la tre giorni di Heritage Market, città fresca o a lunga conservazione? Un insieme di iniziative di cui ho parlato nel post precedente, tenutasi in diverse aree del centro cittadino.

Sarebbe difficile e limitativo redigere una cronaca di tutto ciò a cui ho potuto assistere come spettatrice e raccontare le esperienze che ho vissuto come parte attiva del progetto in un solo post. Nello spazio di 72 ore a bassa percentuale di sonno, si sono susseguite, per dirne alcune, più volte riprese su alcuni articoli da estense.com:

– l’apertura degli studi di architettura della città, con mostre di fotografia, performances musicali e affettature di sublimi salami all’aglio http://www.estense.com/?p=286873

– la presentazione di Sinèddoche, la prima rete di imprese creative della Provincia http://www.estense.com/?p=286917

– l’apertura dello spazio Grisù che inizia ad accogliere al suo interno le prime attività produttive http://www.estense.com/?p=286644

– diversi dibattiti sugli sviluppi di nuovi modelli urbani, su come governare le città fra ‘decadenza, rigenerazione, creatività e conservazione’ http://www.estense.com/?p=286458

– la presentazione – e distribuzione aggratis a tutti i presenti – del libro ‘Di Spazi. Città genere specie’ che raccoglie, tra le illustrazioni di Giacomo Nanni, i contributi di diverse figure professionali che operano nella nostra città, chiamate dalla Fondazione dell’Ordine degli Architetti, dall’APS Basso Profilo e da AGAF – Associazione giovani architetti della Provincia di Ferrara – a riflettere sui temi di socialità, arte, tempo, cultura, tutela del nostro territorio.

 In questo libro ricco di spunti e a tratti emozionante, ho letto queste belle parole, a proposito della città, scritte quasi un anno fa ma che, lette dopo gli eventi che l’hanno animata negli ultimi giorni, suonano profetiche: “C’è un altro passato non meno importante […] quello novecentesco del Cinema Rivoli, dei magazzini fluviali di via Darsena, dell’intero Quartiere Giardino, del Teatro di Piazzetta Verdi, dei grattacieli. […] Spazi in attesa di essere riempiti di senso, di cogliere quelle energie latenti che potrebbero riattivare processi di partecipazione consapevole, attiva e motivata alla vita quotidiana della città da parte dei cittadini. Edifici […] la cui riappropriazione segnerebbe un atto di riconquista […] porrebbe in essere possibilità inedite di investire nella propria progettualità. Potrebbe portare soprattutto, ad uscire dalla logica dell’eccezionalità rituale della manifestazione culturale – pensiamo a Ferrara durante i grandi eventi di importanza nazionale ed internazionale e al giorno dopo – per reinserirla all’interno di una quotidianità che sia foriera di un coinvolgimento che sia sempre più intenso e partecipe.”

Sono uscite dalla giovane penna di Fabio Venneri che è presidente di Basso Profilo. Io rileggendole oggi, ci ho trovato dentro la sintesi di una riflessione, forse la più incisiva, cui sono giunta dopo gli eventi di questi giorni: abbiamo una città che va ripensata a partire dalle risorse esistenti. Anzi, prima ancora, iniziando dalla ricerca di queste risorse che si nascondono alla nostra abitudine miope di guardare le cose. Da ripensare è il modo di vivere gli spazi, di appropriarsene in maniera pianificata e condivisa e non avventata. fotoNon, come mi ha suggerito qualcuno, arrivato a manifestazione conclusa, con l’obiettivo di organizzare l’ennesimo evento a spot, finalizzato al solo diletto. Heritage Market, a cui ho visto partecipare un pubblico giovane, sia di addetti ai lavori, ma anche di semplici curiosi, aspira alla crescita collettiva, che non si raggiunge sommando altri festival del divertimento al già sovraffollato e oneroso calendario ferrarese, ma attraverso incontri di teste pensanti che si mettono insieme per realizzare strumenti di crescita imprenditoriale alternativi. Idee da brevettare ed esportare come casi di successo (mi riferisco ad esempio, allo spazio Grisù e alla rete di Imprese Creative Sinèddoche).

In pieno accordo con ciò che ha scritto poco tempo fa Maria Livia Brunelli e forte delle conferme avute dal successo delle inziative che le diverse giovani realtà culturali della città stanno portando avanti, sono convinta che ci siano alcune semplici regole da seguire, per non sprecare le poche risorse e le tante energie che abbiamo a disposizione.

– non avere paura di sporcarsi le mani e di sudare, investendo anche il tempo libero in questa preparazione che più che da aspiranti campioni di atletica leggera, sembra roba da sollevatori di pesi massimi.

– esprimere e condividere le proprie idee, il metodo di lavoro e gestione, come fossimo depositari di un’open source che possa servire anche alle realtà vicine per creare una massa critica abbastanza forte da emergere come carattere esclusivo, una sorta di prodotto intellettuale made in Ferrara.

– lavorare a iniziative partecipate da più realtà, chiedere ad altri l’esperienza di cui siamo deficitari e dare in cambio ciò che fa di noi un’eccellenza.

– cercare una nuova funzione per gli spazi morti, farlo insieme alla città, coninvolgendo le realtà circostanti. Se non lo facciamo noi arriverà qualcun altro che, per trarne profitto, getterà distese di cemento e tirerà righe azzurre per la sosta a pagamento.

– investire tempo nella ricerca di finanziamenti e sperimentazione di nuovi modelli di fundraising.

Chi, da un po’ di tempo sta operando in questa direzione sa che ci vuole tempo, perseveranza e pazienza. Chi ha iniziato a guardare al futuro con la mente dell’urbanista, del maratoneta o del contadino sa che per avere un buon raccolto c’è un calendario da rispettare e che, per imparare a muoversi nello spazio, una volta individuata la meta, ci vuole tempo e nessun timore del confronto.

Al mattino presto, quando procedo lungo il fiume Charles col mio ritmo moderato, vengo superato da molte ragazze, probabilmente delle nuove iscritte ad Harvard. […] corrono in linea retta tagliando il vento. Non posso negare che avverto in loro un senso di aggressività e di sfida. Devono essere abituate a lasciarsi alle spalle le persone una dopo l’altra, e quasi certamente a non venire mai superate. Dall’aspetto si direbbero ragazze in gamba, in buona salute, robuste, coscienziose e sicure di sè. Ma il loro modo di correre, comunque lo si consideri, non sembra mirare alla lunga distanza. È quello tipico della distanza media. Lunghe falcate aggressive che colpiscono forte il suolo. Probabilmente correre godendosi il paesaggio circostante non rientra nella loro mentalità.” Murakami Haruki, L’arte di correre, Torino, Einaudi, 2009.

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