Politica
19 Novembre 2011
Il Comitato acqua pubblica annuncia il bis in consiglio

Lei sei risposte

di Redazione | 4 min

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Risponde punto per punto e rilancia con un’altra domanda il Comitato acqua pubblica alle sei questioni sollevate dall’assessore Marattin (vai all’articolo) dopo la manifestazione in consiglio comunale di lunedì scorso.

I referendari non raccolgono i toni sarcastici di Marattin, glissando sulle provocazioni (“è l’unico modo che avete per farvi notare”) e ricordando semplicemente al componente della giunta Tagliani che “fatta salva la discrezionalità di applicazione del regolamento comunale da parte dell’istituzione, registriamo un cambio di clima che certo non mira al coinvolgimento della  popolazione”.

Veniamo alle domande giuridiche. Sui tempi della commissione statuto (“bloccata” dalla relativa pratica), “ricordiamo che  la petizione popolare di modifica dello statuto comunale, protocollata nel febbraio 2009, è stata discussa dopo due anni e mezzo, a fronte dei 60 giorni previsti”; mentre sulla sentenza della Corte Costituzionale ricordata da Marattin (la 187/2011), il Comitato puntualizza che “la legge dello Stato citata è l’art.23 bis, abrogato con i referendum di giugno (primo quesito). Un eventuale ricorso, effettuato oggi, non potrebbe avere lo stesso esito, perché il referendum ha, de facto, superato le radici di quella sentenza”.

A questo si aggiunge il fatto che “diverse centinaia di comuni in giro per l’Italia hanno da tempo approvato analoghe modifiche al proprio statuto”.

Quanto allo scoglio del testo unico degli enti locali, il comitato richiama la stessa Corte Costituzionale (“talmente chiara che non necessita di interpretazione”) che ha approvato il secondo quesito, relativo alla remunerazione del capitale: mediante l’eliminazione del riferimento al criterio della «adeguatezza della remunerazione del capitale investito», si persegue, chiaramente, la finalità di rendere estraneo alle logiche del profitto il governo e la gestione dell’acqua. […] Infine, la normativa residua, immediatamente applicabile, non presenta elementi di contraddittorietà, persistendo la nozione di tariffa come corrispettivo, determinata in modo tale da assicurare «la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio secondo il principio del recupero dei costi e secondo il principio“chi inquina paga”».

Il Testo unico degli enti locali sopporterà invece il nuovo criterio gerarchico stabilito dal referendum: “si vede recise le radici per ciò che attiene il servizio idrico e sarà invece applicabile per gli altri servizi pubblici”.

Sul paventato fallimento di aziende pubbliche che andrebbero a gestire l’acqua, il comitato replica come “la stessa Federutilty è costretta a riconoscere che l’ingente fabbisogno finanziario di cui necessita il sistema non può far carico unicamente alla leva tariffaria in quanto incapace di generare in tempi brevi le risorse per fare fronte al debito”. I referendari spingono quindi per “una nuova ipotesi strategica” in grado di “realizzare gli investimenti necessari all’ammodernamento del servizio idrico e per  affrontare il tema della riduzione delle perdite di rete. Solo l’intervento pubblico è in grado di cimentarsi con tale questione”.

La quarta risposta, relativa all’Emilia Romagna che “non adotta il metodo del 7%”, mette invece Marattin dietro la lavagna:  “lo sa, caro assessore, che i soggetti gestori dell’Emilia Romagna applicano un sistema tariffario elaborato su base regionale che è stato dichiarato incostituzionale dalla Corte Costituzionale?”.

Siamo alla parte politica e tocca rispondere alla questioni su Autorità di regolamentazione e gestore selezionato in base al miglior servizio offerto, pubblico, privato o misto che sia. “Il servizio va offerto perché serve e non perché rende” si limita a dire il Comitato, ricordando poi che “se c’è una chimera è proprio quella che restringendo il potere in pochissime mani (coloro che occupano le poltrone delle autorità “indipendenti”) si faccia il bene dei cittadini”. Tutto all’opposto, secondo i referendari, “una gestione attraverso enti di diritto pubblico”, che “permetterà l’effettiva trasparenza amministrativa, un servizio equo quanto efficiente, che non genera profitti per pochi ma benefici per la collettività e per l’ecosistema”.

Quanto all’atteggiamento responsabile da assumere in un momento drammatico per le finanze nazionali, il comitato fa presente che “il valore degli investimenti medi annui previsti per il servizio idrico nel nostro Paese (2 miliardi di euro) rispetto al Pil è pari allo 0,15%, meno della metà del valore minimo indicato per i Paesi ad alto reddito (0,35- 1,20%)”.

Se di responsabilità si vuole parlare, questo il pensiero dei referendari, meglio guardare altrove. Come alla Difesa: “riteniamo altamente responsabile che le scelte del governo vadano in direzione della garanzia di un bene fondamentale come quello dell’acqua, attuando una manovra correttiva per esempio sul settore della difesa che invece pare non sentire aria di crisi, con investimenti in continuo aumento, che anche per quest’anno superano i 20 miliardi di euro. Per ciò che riguarda il piano di investimento per il servizio idrico stimato dal Coviri, si parla di una cifra di 60 miliardi di euro, da spalmare su circa trent’anni”.

Terminate le risposte, ecco spuntare una domanda. “Lo sa che con le sue argomentazioni – interroga il comitato – lei sostiene posizioni che portano a non rispettare il pronunciamento di 27 milioni di persone, la maggioranza assoluta dei cittadini italiani? E che contraddice le stesse conclusioni della Corte Costituzionale? Francamente, non ci sembra una grande concezione della democrazia”.

Terminate le parole, ora i fatti. Il Cap promette il bis e lunedì 21 novembre alle 15.30 anticipa che sarà di nuovo in consiglio comunale “insieme a tutti i cittadini che a noi vorranno unirsi per ribadire il nostro sì”.

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