Cronaca
21 Settembre 2023
La fantasiosa ricostruzione di una 31enne moldava residente a Copparo, convinta che le siano stati asportati a sua insaputa i gameti e gli ovociti utilizzati dalla showgirl argentina per partorire. In Questura vuol denunciare pm e carabinieri, ma la situazione degenera

“Belen è un trans e sua figlia è mia”. Poi tira un pugno al poliziotto

di Davide Soattin | 3 min

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Le avrebbero – a sua insaputa asportato organi sani, tra cui ovociti e gameti, mentre era sotto anestesia durante un’operazione di plastica chirurgica all’ospedale di Borgo Trento a Verona, che sarebbero poi stati utilizzati, nove mesi più tardi, da Belen Rodriguez e dal suo compagno Antonino Spinalbese per dare alla luce, nel 2021, la figlia Luna Marì. Questo perché, secondo lei, la nota showgirl argentina sarebbe in realtà una donna transessuale.

S’intreccia a metà, tra l’assurdo e il fantasioso, la ricostruzione di una donna 31enne di origini moldave e residente a Copparo che, attraverso il proprio profilo TikTok, è diventata virale. Lì, in quelle clip social, ha svelato le sue verità nascoste: la presentatrice e il fidanzato – a suo dire – avrebbero comprato illegalmente i suoi ovociti, che poi sarebbero stati impiantati a una madre surrogata per inscenare una finta gravidanza.

Secondo la donna, infatti, la bambina nata dai due sarebbe in realtà sua figlia legittima e a riprova della sua tesi ha postato innumerevoli video in cui mostrava le foto della piccola raffrontate ai suoi scatti. In questi anni, non solo ha intimato a Belen di restituirle la bambina, ma ha anche denunciato l’ospedale e i medici, ‘scomodando’ la Procura di Ferrara e i Nas di Bologna, che però non hanno riscontrato alcun tipo di reato.

La storia però non è finita qui. Non contenta, nella serata del 14 dicembre 2021, insieme alla madre e alla sorella, la donna si era recata in Questura a Ferrara per sporgere denuncia nei confronti del sostituto procuratore, che aveva deciso di archiviare il fascicolo aperto nei confronti dei sanitari, e dei carabinieri che, a suo dire, avrebbero nascosto alcuni documenti importanti ai fini delle indagini.

Dopo aver redatto il verbale, la 31enne si sarebbe però dilungata senza riuscire a fornire spiegazioni su quelle che erano le sue reali necessità in quel momento, venendo così invitata a lasciare – complice la tarda ora – gli uffici di corso Ercole I d’Este per presentarsi il giorno successivo quando, con più calma e con maggior tempo disponibile, sarebbe stata ascoltata nuovamente. A quel punto, le tre donne avrebbero iniziato a urlare e ad accusare i poliziotti di voler proteggere pm e carabinieri, senza volersi allontanare.

In quella circostanza, dopo essersi sdraiata a terra rifiutandosi di rialzarsi e ignorando l’ultimatum della Polizia, insieme ai familiari, la 31enne avrebbe prima opposto resistenza e poi colpito con un pugno al volto un poliziotto che era intervenuto per allontanarla, iniziando una colluttazione durata fino a quando altri agenti, giunti in soccorso, non riuscirono a contenere – con faticala sua reazione violenta e ad ammanettarla, arrestandola.

Il poliziotto rimasto vittima dell’aggressione, invece, fu trasportato all’ospedale Sant’Anna di Cona in ambulanza dove, per le lesioni riportate, gli venne data una prognosi di sei giorni dal medico del Pronto Soccorso.

Ieri (20 settembre) in tribunale a Ferrara, davanti al gup Silvia Marini, la donna è stata rinviata a giudizio con l’accusa di resistenza a pubblico ufficiale e lesioni personali e il poliziotto aggredito si è costituito parte civile. La prossima udienza è stata fissata al 12 dicembre davanti al giudice Marco Peraro.

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