È stata rinviata al 9 aprile, quando verrà discussa, l’udienza del processo per omicidio colposo a carico di Veronica Romanelli, la mamma del piccolo Maxsimiliano, il bambino di quattro anni che, il 12 luglio del 2020, annegò nella piscina grande dell’agriturismo Ca’ Laura di Bosco Mesola.
Ieri (martedì 20 febbraio) infatti è stato infatti deciso lo slittamento del processo, in attesa che il 5 marzo la Corte Costituzionale si pronunci su una vicenda, per certi versi simile, in cui uno zio titolare di un cantiere edile era finito indagato e poi imputato per la morte di suo nipote.
Una storia, quest’ultima, portata all’interno del procedimento da un’istanza presentata dal legale difensore della donna, l’avvocato Gianni Ricciuti, che in precedenza aveva chiesto al giudice del tribunale di Ferrara di sospendere il processo a carico della sua assistita poiché, al pari di quello zio su cui ora si attende il pronunciamento degli ermellini, “avrebbe già sofferto abbastanza” per l’accaduto.
La donna infatti – secondo il suo legale – starebbe già scontando la propria pena con la morte del figlio, che continuare il processo sarebbe un ulteriore ‘accanimento‘ nei suoi confronti, considerando la condizione umana e lo stato di salute psicologica che la donna sta attraversando da ormai oltre tre anni, senza riuscire a darsi pace e auto-assolversi di quello che accadde in quel pomeriggio di metà estate che finì in tragedia
“Non viene rispettato il principio di proporzionalità della pena” aveva detto l’avvocato Gianni Ricciuti spiegando le tre direttive lungo le quali si muoveva l’istanza, aggiungendo sia “l’applicazione della pena giudiziaria non è più necessaria in una situazione del genere” che facendo riferimento a quello che “è il divieto di comminare pene disumane“.
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