Editoriali
30 Ottobre 2023

Anselmo e la casa in fiamme

di Marco Zavagli | 3 min

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Un collega vissuto oltre un secolo prima di me, dalle sponde d’oltreoceano definiva la politica come conduzione di affari pubblici per un interesse privato. Con le dovute proporzioni, oggi mi chiedo cosa spinga Fabio Anselmo a offrire la sua disponibilità per una eventuale candidatura ad alfiere del centrosinistra alle comunali del 2024.

Nella sua premessa c’è il tarlo del dubbio. Parla di sacrificio della vita personale e professionale che una eventuale corsa al municipio potrebbe costargli.

Trattiamo di un avvocato conosciuto in tutta Italia come paladino degli ultimi, pronto a scontrarsi con i poteri forti, che ha ricevuto il Premio Borsellino perché “ha scritto la storia dei diritti civili, dei diritti dell’individuo – come recita la motivazione del riconoscimento assegnato nel 2016 -, che è riuscito a lasciare un segno e a fare scuola facendo bene il proprio dovere” e che per questo “ha molti nemici tra chi invece questo ‘dovere’ lo fa male o non lo fa”.

Perché dovrebbe togliere spazio e tempo a quel lavoro che lo ha portato a ridare dignità a persone e famiglie umiliate dalle istituzioni che avrebbero invece dovuto proteggere? Se guardiamo in terra nostra ricordo i casi di Federico Aldrovandi e Denis Bergamini. Se guardiamo altrove è più che facile pensare al caso di Stefano Cucchi.

Perché dovrebbe entrare in un agone dove gli avversari faranno di tutto per screditarlo, offenderlo dietro identità fasulle, gettargli quel fango dove altri prosperano?

È chiaro che quanto a interessi privati e opportunità professionali, Anselmo ha solo da perderci. Ha fatto bene l’avvocato a ricordarlo: lui non è un politico, non ha mai avuto incarichi politici, né ha mai vissuto di politica.

Ma non è il confronto con Alan Fabbri, immagino, che potrebbe farlo tentennare. Troppo è il divario sul piano personale e valoriale tra i due ancor ipotetici sfidanti.

Anselmo deve guardare dalla sua parte e ottenere le garanzie richieste, vale a dire una “candidatura fuori dai partiti e soprattutto al di sopra di vecchie logiche che hanno portato alla situazione attuale”.

Ulteriore paletto imposto dall’avvocato è la condizione che il suo nome non sia considerato divisivo.

E anche qui urgono dei distinguo. Immaginare che nel giugno 2024 ci sia una alleanza che raccolga un mucchio selvaggio che vada dai Renzi-boys ai pronipotini di Togliatti è chimera. Qualsiasi nome esca dal cosiddetto tavolo per l’alternativa porterà ogni partito a fare la propria scelta. Vuoi condivisa, vuoi contraria.

E chi è contrario forse non ha digerito negli anni il fatto che Anselmo si sia schierato, a livello professionale per i casi che si è trovato a seguire, ad esempio, contro la scelta di trasferire l’ospedale a Cona o si sia trovato avversario di Bonaccini nella denuncia contro il presidente della Regione fatta dal sindaco di Jolanda di Savoia alla vigilia delle elezioni regionali.

Ma mille e mille saranno gli interrogativi che si attorciglieranno attorno al suo nome.

Nella “Parabola di Budda sulla casa in fiamme” Brecht racconta del Gotama che si trovò di fronte a una casa il cui tetto era lambito dal fuoco. Cercò di avvisare chi ci viveva, “incitandoli ad uscire, e presto. Ma quelli parevano non avere fretta. Uno mi chiese, mentre la vampa già gli strinava le sopracciglia, che tempo facesse, se non piovesse per caso, se non tirasse vento, se un’altra casa ci fosse, e così via”.

A quel punto “senza dare risposta uscii di là. Quella gente, pensai, deve bruciare prima di smettere con le domande”.

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