Portomaggiore
29 Ottobre 2022
Fabio Anselmo, avvocato difensore di Nicola Minarelli, fa presente che gli organi di controllo non avevano ritenuto di intervenire

Esplosione al poligono. “Sul banco degli imputati non ci doveva stare il sindaco”

di Marco Zavagli | 4 min

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Sul banco degli imputati non ci doveva stare il sindaco”. Parla per un’ora e mezza Fabio Anselmo. In aula hanno appena terminato di discutere le parti civili. La requisitoria della pm Ombretta Volta si è chiusa con la richiesta di una condanna a 2 anni e 6 mesi per il suo assistito, l’ex sindaco di Portomaggiore Nicola Minarelli.

Anselmo lo difende dall’accusa di omicidio e disastro colposi per l’esplosione al poligono del 10 gennaio 2016 dove persero la vita tre persone. Ma, secondo il legale, non può essere chiamato a risponderne proprio chi “si è fatto incriminare lui, chiedendo nel 2015 delucidazioni sul poligono del quale fino ad allora non sapeva nemmeno dell’esistenza”.

Minarelli ne viene a conoscenza in modo accidentale – ricostruisce l’avvocato – e si attiva subito per chiedere informazioni. E lo fa con i suoi tecnici, con i carabinieri, con i vigili del fuoco”. Per questo “mi sembra un cortocircuito logico dire che nel 2012 Minarelli sapeva cosa avveniva nel tiro a segno”.

Anche perché “il mio assistito non aveva alcun interesse all’esistenza di quel poligono. O nel tacere in maniera omertosa per proteggere gli interessi di chissà quale potente. Qui si vuole applicare per analogia una norma a questo caso specifico, quando nel nostro ordinamento l’analogia è proibita”.

Oppure “si vuole interpretare una legge (quella che avrebbe previsto la responsabilità dei sindaci, ndr) che non è mai entrata in vigore. E questo perché quell’articolo avrebbe messo in crisi il monopolio, legittimo e costituzionale, sulla competenza nell’uso delle armi. Una competenza che spetta alla questura e alla prefettura. Se fosse entrato in vigore quel testo si sarebbe data una competenza impossibile a un sindaco di provincia. Era una legge inattuabile. E trovo imbarazzante che tutto questo sia stato ignorato, cercando analogie tra norme diverse”:

Quello che va guardato invece, secondo il penalista, “è la circolare del Ministero dell’Interno, datata 2011, che esclude esplicitamente la competenza del sindaco”.

Anselmo fa presente che in quell’aula sono sfilati “testi qualificati, come l’ex questore, l’ex prefetto, il responsabile dell’Ufficio armi, Abbiamo capito che chiunque fosse entrato in quel poligono si sarebbe accorto del pericolo. Lo stesso questore Sbordone ha detto che avrebbero dovuto intervenire loro, che non si capacitava del perché non lo avessero fatto. E pretendiamo che lo dovesse fare il sindaco?”.

Anselmo sottolinea più volte che non vuole addossare la colpa ad altri. Ma se colpa ci dev’essere – questo il suo ragionamento – Minarelli è l’ultimo a doverne rispondere.

Chi acquista, detiene o trasporta armi – prosegue il ragionamento della difesa – non deve dirlo al sindaco, ma alla questura e alla prefettura. L’elenco dei frequentatori di un poligono non viene inviato in municipio, ma in questura. E questo perché l’organo di controllo deve verificare e controllare. E se c’è stata una omissione colposa da parte di chi doveva controllare, il mio assistito è l’ultima ruota del carro”.

In quel poligono – continua – si sono viste armi, come la K-47, che sono proibite. Il proprietario, Ghesini, ci ha detto che l’impianto – costruito di concerto tra proprietario e responsabile dell’ufficio Armi della questura – era frequentato da poliziotti, agenti della municipale, carabinieri”.

Poi l’arringa punta il dito altrove: “E se mi viene detto che il municipio era ad 800 metri dal poligono, rispondo che a 1 km c’era la caserma dei vigili del fuoco. E i vigili del fuoco hanno competenza esclusiva quanto a potere di vigilanza. Non sta scritto da nessuna parte che possono attivarsi solo su richiesta. Erano loro che dovevano attivare il sindaco, non il contrario”.

Tutto questo viene riassunto in una frase: “Sul banco degli imputati non ci doveva stare il sindaco”.

E così quella che doveva essere una linea difensiva, diventa un j’accuse a tutto tondo. “Ghesini manda una lettera per chiedere l’ampliamento delle linee di tiro – prosegue Anselmo -. Nell’impianto arriva una quantità di munizioni 100 volte superiore a quello consentito, si utilizzano calibri mai visti, che infatti nel Tiro a segno nazionale della vicina Lugo sono proibiti. Si creano insomma delle condizioni di pericolosità fortissime”.

E “lo dice la legge che la sicurezza può essere garantita solo se si utilizzano armi e munizioni convenzionali e una pulizia adeguata. Era una tragedia annunciata e chi frequentava il poligono se ne poteva facilmente accorgere”.

Ghesini, poi, “’confessa’ involontariamente scrivendo alla prefettura. L’ufficio armi gli spiega come risolvere i suoi problemi di ampliamento. Ghesini invita anche la prefettura a ispezionare i locali. E la prefettura gira la lettera ai carabinieri. Ma non si fa vivo nessuno. Né la Prefettura, né la Questura, né l’Arma intervengono”.

Alla luce di tutto questo, si chiede il difensore, “se con tutte le loro competenze hanno ritenuto che non ci fosse un pericolo concreto, perché avrebbe dovuto farlo Minarelli? E infatti la consulenza della procura non dice quale comportamento alternativo Minarelli avrebbe dovuto tenere. È tutto presunto, pure il nesso causale”.

Tutto avviene sotto gli occhi degli organi di controllo deputati ad attività specifiche. Pensiamo di risolvere i nostri problemi di coscienza condannando il sindaco? – conclude Anselmo -. Cosa c’entra in tutto questo il sindaco, che sapeva che le autorità erano state informate proprio da lui? Se questo è uno Stato di diritto e questa un’aula di giustizia, Minarelli deve essere assolto”.

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