Goro
21 Aprile 2019
Chiuse le indagini a carico dell'ex parroco di Goro nell'ambito del procedimento sull'assassinio del giovane Willy

Omicidio Branchi. Don Bruscagin indagato per calunnia e false informazioni

di Daniele Oppo | 3 min

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Goro. È a un bivio l’ex parroco di Goro don Tiziano Bruscagin. Da un lato deve difendersi dall’accusa di aver infamato delle persone davanti agli inquirenti indicandole come responsabili dell’omicidio di Willy Branchi. Dall’altro deve dimostrare di non aver contribuito, di fatto, a proteggere i colpevoli dando false informazioni, o con un silenzio di troppo davanti al pm.

La procura di Ferrara ha chiuso le indagini a suo carico, chiamandolo a rispondere di una doppia accusa: calunnia e false informazioni rese al pubblico ministero. Il sostituto procuratore Andrea Maggioni non molla di un centimetro e prosegue a tambur battente le indagini sull’omicidio del giovane Willy, massacrato e ucciso nella notte tra il 29 e il 30 settembre del 1988.

E lo fa chiedendo la verità a chi da subito aveva detto di sapere, facendo nomi e cognomi agli inquirenti di allora e di oggi, nel 2015 al sostituto procuratore Giuseppe Tittaferrante e ancora nel 2018 al suo successore, Maggioni appunto, che ha preso in mano il fascicolo dopo che il gip Carlo Negri ha disposto un approfondimento d’indagine convinto dall’opposizione all’archiviazione presentata dall’avvocato Simone Bianchi, legale della famiglia di Willy.

Le ipotesi accusatorie sono due: quella di aver calunniato tre uomini davanti al magistrato, indicandoli come gli autori dell’assassinio e dell’occultamento del cadavere; e quella di aver reso dichiarazioni false o reticenti al pm in ordine alle indagini sull’omicidio.

Calunnia. Nel corso degli anni, il prete ha fatto agli inquirenti i nomi del presunto responsabile dell’omicidio e dei suoi complici, che lo avrebbero aiutato a disfarsi del corpo di Willy, devastato dalla violenza e ucciso con una pistola da macello e poi abbandonato lungo l’argine del Po di Goro. Identità precise, movente, arma utilizzata. Informazioni conosciute a brevissima distanza di tempo dall’omicidio, già nell’autunno del 1988, ribadite più volte agli inquirenti tra 2015 e 2018 e anche al giornalista Nicola Bianchi de Il Resto del Carlino, che lo registrò, contribuendo alla riapertura del caso. Informazioni che oggi il pm si chiede se siano vere o false. Se sono false, come sembra credere la procura, sono anche calunniose.

Reticenza. Oppure quelle informazioni sono vere, e la domanda che si pone il pm è: da dove nascono e chi le ha riferite al parroco? Perché don Bruscagin ha sempre sostenuto di averle avute da non meglio specificate voci del popolo, senza mai fare i nomi dei suoi confidenti, trincerandosi dietro a un pesantissimo silenzio il 14 marzo scorso, quando il pm gli ha chiesto chiarimenti. Assenza di risposte che limita la ricerca di una verità che da troppo tempo si fa attendere e sulla quale il magistrato non sembra più disposto a soprassedere.

La versione della difesa. “Contestiamo fermamente le ipotesi accusatorie formalizzate dalla procura nei confronti del nostro assistito”, affermano gli avvocati Milena Catozzi e Marcello Rambaldi, dopo aver letto il 415 bis, l’avviso di chiusura delle indagini. “Qualsiasi valutazione ulteriore sarà effettuata successivamente all’analisi degli atti d’indagine ad oggi disponibili”.

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