Spettacoli
20 Gennaio 2019
Sabato sera il teatro comunale “Claudio Abbado” di Ferrara ha riaperto le stagioni di prosa e di danza con una proposta ‘crossover’

Il Tango glaciale di Mario Martone in versione reloaded

di Redazione | 2 min

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di Federica Pezzoli

Sabato sera il teatro comunale “Claudio Abbado” di Ferrara ha riaperto le stagioni di prosa e di danza con una proposta ‘crossover’: “Tango glaciale reloaded”, lavoro riallestito da Anna Redi e Raffaele Di Florio all’interno del progetto Ric.Ci/Reconstruction Italian Contemporary Choreography Anni ’80-’90, dedicato alla memoria storica della nostra danza contemporanea.
La versione originale era stata creata a inizio anni Ottanta da Mario Martone per il gruppo Falso Movimento e presentata a Ferrara nel dicembre del 1982. “Tango glaciale” è stato scelto da Marinella Guatterini perché è una delle ‘tappe’ fondamentali nel percorso della post-avanguardia del teatro italiano, che comprende per esempio esperienze come Studio Azzurro di Giorgio Barberio Corsetti, tanto che proprio a proposito di ‘Tango Glaciale’ viene coniato il termine videoteatro: riflessione allo stesso tempo sull’uso della tecnologia come una strada di potenziamento delle possibilità del teatro, ma anche sullo statuto del teatro stesso.
Oggi questa macchina scenica-tecnologica viene ‘ricaricata’ – reloaded appunto – per tre giovani danzattori che negli anni Ottanta non erano ancora nati: Giulia Odetto, Filippo Porro e Jozef Gjura.
“Tango glaciale reloaded” è un carillon ricaricato che ricomincia a suonare e a girare, vorticosamente. Dodici diverse scenografie si proiettano nello spazio e nel tempo, per circa 60 minuti di spettacolo, con una media di un cambio di scena ogni cinque minuti: un sovrabbondante e visionario collage post moderno che richiede una perfetta sincronizzazione fra video, audio, performers e tecnici, ma che comunica una folle ed esuberante energia senza troppa logica.
Il pubblico è come catapultato in un enorme videoclip anni Ottanta, un po’ Mtv delle origini, un po’ Guerre stellari, un po’ Blade Runner: un viaggio paradossale fra citazioni e rimandi incrociati alla cultura pop. Un viaggio figurato dall’ordinario al fantastico, dal fumetto all’immagine tout court, dalla musica al suono, dal gesto al movimento, dall’energia al corpo, dalla presenza alla proiezione, dal canone alla sua rottura, in flussi continui di andata e ritorno. Fino al finale: una sorta di pandemonio organizzato, o forse la pantomima di una catastrofe nucleare.
La commistione di codici che derivano dal mondo dei mass media, dall’ arte e dal fumetto, la commistione dei linguaggi, dal greco al tedesco, inglese, francese, genera un effetto pastiche straniante, ma molto ironico e divertente. L’operazione non è un revival nostalgico, ma una domanda posta allo spettatore: cosa è rimasto dell’immaginario di una generazione, cosa abbiamo portato con noi dall’era analogica a quella digitale, cosa è sopravvissuto, a volte trasformandosi in qualcosa di diverso?

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