Codigoro
10 Gennaio 2018

Doppio omicidio di Pontelangorino. A un anno di distanza il dolore di Riccardo

di Redazione | 3 min

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di Giuseppe Malatesta

Pontelangorino. Ha ricevuto gli auguri di natale dei suoi concittadini Riccardo Vincelli, rinchiuso nel carcere minorile Ferrante Aporti di Torino pochi giorni dopo il massacro di Nunzia Di Gianni e Salvatore, i suoi genitori. A raccontare di un contatto diretto con il giovane e dell’iniziativa di vicinanza del gruppo parrocchiale, don Marco Polmonari, parroco della frazione codigorese che un anno fa veniva sconvolta dall’efferato duplice omicidio.

“Ho sentito direttamente Riccardo qualche settimana fa, tramite il cappellano del carcere”. Pochi minuti di conversazione al telefono, sufficienti a percepire lo stato di profondo malessere del giovane killer. “È molto giù, anche lui ha ormai preso coscienza di quanto avvenuto e ne sente il peso”.

“Profondamente avvilito, pacato”, non è parso contrariato dall’iniziativa del parroco. “Assolutamente, nessun tono scontroso nei miei confronti. Durante le recenti festività abbiamo pensato di scrivergli: un biglietto a cui non so se risponderà. Per il momento non lo ha fatto”.

Solo un anno fa, le festività Riccardo le aveva trascorse in famiglia, lontano dal ferrarese ed in compagnia di Nunzia e Salvatore, i genitori che proprio in quei giorni aveva meditato di eliminare dalla sua vita nel modo più radicale possibile. Al ritorno a Pontelangorino – dove viveva e frequentava quella scuola sempre al centro delle discussioni in casa – era passato purtroppo ai fatti, incaricando il suo amico più fedele, Manuel Sartori, esecutore materiale del delitto, ritirandosi nella sua camera e nel suo mondo in attesa di una nuova vita senza ostacoli.

Nei suoi piani folli risparmia solo il fratello Alessandro, che viveva e vive altrove, chiuso in un silenzio mediatico che non ha mai rotto finora. “Non sono in grado di dirle quali siano i rapporti tra di loro” riferisce don Marco. “Non è facile mantenere contatti con Riccardo o avere sue notizie. A differenza di Manuel, a cui mando più spesso un saluto o un augurio tramite la sua famiglia”.

I due, dopo una notte di sangue, condividono il senso di colpa e smarrimento dietro le sbarre e un procedimento penale già partito, secondo le tappe previste dal rito abbreviato condizionato.

Nel frattempo, lo sguardo di don Marco è rivolto da mesi anche a chi resta, ad una comunità sotto shock a cui da subito il sacerdote aveva teso la mano, insieme a catechisti, laici, istituzioni e forze dell’ordine. Una ‘mobilitazione’ nei confronti soprattutto dei coetanei dei baby killer.

“Parlammo di emergenza educativa”. Anche su questo aspetto don Marco ha qualcosa da riportare. “Fino alla scorsa estate abbiamo programmato incontri con esperti ed educatori, ma la partecipazione non è stata delle più eccelse”.

“La comunità ha voluto dimenticare in fretta, e non si ha la certezza che abbia imparato qualcosa. Parlo soprattutto dei giovani che non incontro più. Il progetto di emergenza educativa a cui avevamo pensato da subito voleva proprio evitare questa perdizione, partendo dall’importanza di ricevere un’educazione, perché da soli non ci si forma, e scongiurando la rottura con le figure adulte e con i genitori: quando accade il rischio è che gli adolescenti restino vittime degli eventi”.

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