Spettacoli
18 Febbraio 2017
Maurizio Micheli, Antonella Elia, Nini Salerno e Benedicta Boccoli svelano i tragi-comici segreti dello spettacolo

Dietro le quinte del teatro con “il più brutto weekend della nostra vita”

di Redazione | 3 min

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E’ “il più brutto weekend della nostra vita”, ma non certo per la compagnia Sanny, che poco prima dello spettacolo di venerdì sera presso il teatro Nuovo ha concesso qualche rivelazione ‘dietro le quinte’ del gustoso recital “stile Woody Allen”.

“Lo spirito è comune – racconta il regista Maurizio Micheli – un po’ caustico: due coppie che attraversano situazioni critiche si ritrovano a passare il weekend insieme non avendone nessuna voglia. Le verità e bugie dei quattro protagonisti, che si detestano reciprocamente, vengono poi a sfociare nel comico. Questo tipo di spettacolo ha dei padri, come Neil Simon, Woody Allen o Joseph Roth”.

L’odio è dunque il sentimento che prevale nello spettacolo, ma poi sfocia nel comico. Vuol dire che alla fine a prevalere è un altro sentimento?

Purtroppo no. L’odio è un sentimento più comune e diffuso dell’amore, e per questo molto più ‘masticabile’ dal pubblico. Qui si tratta di odio piccolo, quotidiano, dell’odio che la gente comune nutre nella vita reale, dietro ai falsi sorrisi, e di quello provocato dalla convivenza quando ‘non ci si sopporta più’. Ma è pur sempre odio, ed è alla base dello stesso sentimento che oggigiorno domina il mondo, basti pensare al web, dove tutti possono rovinare la vita a tutti, e dove si può riversare odio verso chiunque e qualunque cosa. Questo spettacolo è una grande metafora di questo mondo.

C’è attinenza fra il ruolo che interpretate e la vostra persona nella vita reale? E all’interno del mondo del teatro?

Il ruolo che interpretiamo qui è particolarmente esacerbato, quindi una buona dote recitativa che va oltre alla persona ci vuole. E’ pur vero che quando si recita ci si porta sempre una parte di sé: non sono gli attori a dover passare attraverso il personaggio, ma il viceversa. Anche il mondo del teatro si inserisce bene nella metafora che propone questo spettacolo: non solo perché non siamo più ‘ai tempi d’oro’, dove in una stagione si facevano oltre 120 recite (adesso se va bene arriviamo a 60-70), ma anche perché soprattutto nella comicità, è fondamentale il lavoro di squadra. Ci sono comici che rubano gli applausi o bruciano le battute degli altri. Ci vuole un equilibrio di tempi incredibili, e molti attori rientrano perfettamente nel target dei personaggi che interpreteremo nello spettacolo.

Visto il vostro background televisivo, il mondo del piccolo schermo è dunque preferibile a quello del teatro? E il pubblico è diverso?

Se in tv ci fosse un varietà carino, lo faremmo volentieri. Ma la tv dei grandi maestri come Mike Buongiorno o Raimondo Vianello non esiste più. Il pubblico invece sì, è cambiato: nel senso che è diventato sempre più televisivo. Quello che cambia il pubblico dopo 30-40 anni di telecomando è la pazienza: la pausa teatrale infastidisce, infatti il testo originale dello scrittore canadese Norm Foster è stato prevalentemente tagliato. E’ diventato uno spettacolo più smart, dove una battuta tira l’altra, dove il ritmo è incalzante, e non c’è il tempo per girare gli occhi, visto che non c’è il canale.

Qual è il segreto per far ridere il pubblico? Un giovane che vuole intraprendere questa strada ha ‘vita facile’?

Per far ridere, abbiamo sempre fatto ciò che faceva ridere noi. Poi ovviamente lo stile è qualcosa che da acquisire è più complesso. Ci sono giovani comici che sono scadenti, non sanno cosa sia la battuta brillante, surreale, che rompe gli schemi. Intraprendere il mestiere è difficilissimo, ma non perché manchino le scuole, per quello ci si può iscrivere alle accademie e studiare nei migliori posti. Ma la cosa fondamentale è vedere gli spettacoli. Vederne tanti e fin da piccoli: adesso a teatro i piccoli non vanno più, e questa è un’altra conseguenza del telecomando. Questo è un mestiere che si fa rubando a chi l’ha fatto prima di te.

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