Attualità
4 Giugno 2017
Il nuovo vescovo di Ferrara-Comacchio ha dedicato l’inizio del suo mandato a “Papa Giovanni XXIII, morto proprio il 3 giugno”

Una ovazione per Monsignor Perego in Duomo

di Redazione | 9 min

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(foto e video di Alessandro Castaldi)

di Simone Pesci

Habemus… nuovo vescovo. In un Duomo ultra-gremito di fedeli e autorità Gian Carlo Perego si è presentato alla città di Ferrara, iniziando così il suo Ministero Pastorale.

Il nuovo arcivescovo della diocesi di Ferrara-Comacchio è stato accolto da una delegazione del Palio e da una vera e propria ovazione al suo ingresso nella Cattedrale. Il primo a volerlo accogliere è stato il suo predecessore Luigi Negri: “Esprimo gratitudine nell’accoglierti per il sacrificio che compi accettando questo incarico, come vuole la vita cristiana”.

Negri, come fatto nell’ultima omelia ha anche voluto rimarcare come i suoi siano stati “anni bellissimi ma terribili, ma alla fine siamo riusciti a portare la fede aprendoci incondizionatamente ad ogni uomo, con questo ti affido il mio popolo”.

Poi si è entrati nel vivo della cerimonia, con le parole del vescovo di Bologna Matteo Zuppi che hanno toccato l’apice dell’emotività della cerimonia. “Siamo tutti migranti, nella vita come nella fede. Abbiamo bisogno di una guida e si spera che tu possa essere il nostro papà, un dispensatore di amore per tutti noi”, così si è espresso monsignor Zuppi nel dare inizio al Ministero Pastorale di Gian Carlo Perego, che successivamente ha tenuto la sua prima omelia a Ferrara, nella quale non ha fatto nessun riferimento ai migranti, come molti si aspettavano.

La prima omelia di Perego era incentrata invece sulla facciata del Duomo, “coperta come una similitudine della vita che porta i segni della sofferenza e delle piaghe nella società; della sofferenza delle famiglie per il lavoro che manca o che è indegno, della malattia o della interruzione del dialogo intergenerazionale”.

Una cattedrale “coperta, che comunque ricorda la bellezza della fede che illumina la vita” e che rappresenta “attraverso le sue 3 porte i valori della cristianità”.

Monsignor Perego ha dedicato l’inizio del suo mandato a “Papa Giovanni XXIII, morto proprio il 3 giugno”, e ha spiegato come la chiesa debba “guardare al futuro, a Oriente come a Occidente anche attraverso il dialogo interreligioso”.

Questo il primo impatto con la città di Gian Carlo Perego, per il quale saranno giorni ricchi di impegni alla scoperta del territorio della sua nuova diocesi di Ferrara-Comacchio.

Di seguito l’omelia integrale delll’arcivescovo

Con emozione e preoccupazione, unite alla gioia e alla speranza, inizio il mio ministero episcopale tra voi e con voi, cari fratelli e sorelle della Chiesa di Ferrara-Comacchio. E tra voi e con voi guardo a questa città e a tutte le comunità della Diocesi con il desiderio di raggiungere tutti, anche chi è lontano e guarda altrove per trovare le ragioni della propria vita.

Saluto il Metropolita, S. E. Mons. Matteo Zuppi e il Vescovo di Cremona S. E. Mons. Antonio Napolioni, tutti i confratelli Vescovi. Un saluto particolare all’Arcivescovo Luigi Negri, che oggi passa a me il testimone di un ministero episcopale appassionato in questa Chiesa. Un saluto fraterno ai presbiteri, ai diaconi, alle persone consacrate, a tutti i fedeli, uomini e donne, che rappresentano il popolo di Dio, a immagine della comunità apostolica, e che provengono dalla città, dalla diocesi e da comunità a me care. Saluto le autorità presenti, ringraziando il Sindaco di Ferrara per le parole di saluto, non formali ma esemplari di un cattolico impegnato con libertà e responsabilità nella vita politica di questa città.

Il mio primo sguardo, arrivando sulla piazza è stato a questa nostra Cattedrale, la cui facciata coperta oltre che l’interno, portano i segni di sofferenza e le piaghe del terremoto. Nelle sue ferite vedo anzitutto le ferite di tante nostre comunità, dove le case, la chiesa, la scuola, i luoghi del lavoro e dell’incontro non sono ancora stati risanati. Nelle ferite della Cattedrale vedo, inoltre, anche le sofferenze di tante famiglie e persone: per il lavoro che manca o non è degno, per la malattia, per la solitudine e l’abbandono, per un dialogo generazionale interrotto. Nelle ferite della Cattedrale vedo infine “le nostre debolezze” ricordate dall’apostolo Paolo, le ferite e le fatiche delle nostre parrocchie: ad arrivare a tutti, in particolare ai giovani, a costruire relazioni con chi vive da anni sul territorio e per chi arriva.

La Pentecoste, con il suo vento e il suo fuoco segni di Dio Spirito d’amore, viene oggi a sanare le ferite e fatiche che la nostra Cattedrale rappresenta e – come abbiamo ascoltato dalla prima lettura del profeta Gioele – rende gli anziani capaci di sogni e i giovani aperti alla profezia. Anche gli apostoli riuniti con Maria nel Cenacolo sono feriti, delusi, impauriti. Lo Spirito Santo li aiuta a leggere con gli occhi della fede la storia e ad aprirsi, ad andare. Non solo. Lo Spirito Santo spinge i cristiani della prima comunità, che per noi rimane esemplare, norma normante, a vivere dentro la città, a condividere le gioie e le speranze, le tristezze le angosce, soprattutto dei più deboli (cfr. Gaudium et Spes, 1), a costruire una nuova storia di solidarietà e responsabilità, di fraternità. La lettera ‘A Diogneto’ – citata nella Costituzione pastorale Gaudium et spes del Concilio Vaticano II – ricorda questa ‘simpatia’ e ‘sintonia’ con la città da parte dei cristiani, animati e resi creativi dall’azione dello Spirito Santo. Infine, la Pentecoste struttura una comunità di fede, una nuova esperienza di vita insieme, sinodale. E guardando sempre la nostra Cattedrale, libera dal velo che la ricopre, ritroviamo le tre meravigliose facciate, e riconosciamo tre porte d’ingresso. La porta centrale ci ricorda e rimanda all’Eucaristia, forma della Chiesa che – diceva Giorgio La Pira – salva la città, anche quando è povera, solitaria e celebrata nel cuore della città con poche persone, che magari vi partecipano un po’ svagatamente. Dalla stessa porta l’Eucaristia esce nel cuore delle persone e tocca i luoghi familiari della nostra vita: la casa, il lavoro, la malattia, il peccato, la vita e la morte. Una delle altre due porte ci ricorda che in Cattedrale si entra per l’ascolto e l’annuncio della Parola che invita a scelte responsabili, a un nuovo stile di vita. E da questa porta si esce e si portano in città le ragioni della speranza cristiana, con gioia. La terza porta è la porta della carità, che ricorda che la Chiesa è aperta a tutti, con una preferenza per i più deboli, i sofferenti. E da questa porta si esce e s’impara a condividere, ad accogliere, a dialogare, ad aprirsi alla pace e alla vita. Non chiudiamo mai queste tre porte della Cattedrale e delle nostre chiese, perché queste tre porte ci ricordano i tre impegni del cristiano! Anzitutto l’impegno di strutturare la nostra vita di fede, illuminata dallo Spirito Santo, – come ricorda la costituzione conciliare Sacrosanctum Concilium – sui tempi di Dio e dell’uomo (l’Anno liturgico), sui segni della grazia (i sacramenti), che baciano le stagioni diverse della nostra vita. In secondo luogo, l’impegno di cammini rinnovati di vita cristiana, a partire dall’ascolto della Parola, letta dentro una ricca Tradizione e nel confronto con le storie quotidiane. I catechismi della CEI hanno inaugurato dopo il Concilio nella Chiesa in Italia un itinerario di vita cristiana che ha saputo coniugare l’annuncio della verità con  la vita dei bambini e delle loro famiglie, dei ragazzi, dei giovani e degli adulti, attraverso anche nuovi linguaggi. A questi cammini, oggi, si sono affiancati nuovi cammini di iniziazione cristiana per i giovani e gli adulti, itinerari e gruppi di accompagnamento per coniugi divorziati o risposati, che l’enciclica di Papa Francesco Amoris laetitia ha invitato a non trascurare nelle nostre comunità. Infine, l’impegno di testimoniare la fede non solo a parole, ma con i fatti, con il coraggio del dialogo, dell’accoglienza, della giustizia e della carità, con uno sguardo dalla città al mondo.

Questa Cattedrale ricorda oggi, ad ognuno di noi, ad ogni famiglia, ad ogni comunità, alla città, a chi arriva o a chi passa ‘la bellezza della fede’, che illumina la vita. Mentre oggi professo con voi ‘Credo nello Spirito Santo’, desidero volgere lo sguardo al cammino di questa Chiesa in cui entro in punta di piedi. Leggendo durante gli Esercizi spirituali il bel volume di Mons. Antonio Samaritani sulla storia della spiritualità della Chiesa di Ferrara-Comacchio (Profilo di storia della spiritualità, della pietà e devozione nella Chiesa di Ferrara-Comacchio, Reggio Emilia, Diabasis, 2004)  ho trovato alcuni aspetti che credo non dobbiamo disperdere. Anzitutto lo sguardo ad Oriente di questa nostra Chiesa, di cui lo stesso patrono S. Giorgio e il santo vescovo Maurelio ne sono delle testimonianze più evidenti, come pure la seduta conciliare di Ferrara nel secolo XV, esperienza ecumenica straordinaria. E’ una Chiesa che ha saputo dalle sue origini respirare ‘a due polmoni’ – per usare un’espressione del Santo Papa Giovanni Paolo II – Oriente e Occidente, con una teologia e una spiritualità monastica aperta alla fraternità (privilegium amoris) e al dono di sé (donum lacrimarum), ispirandosi a S. Romualdo, di cui S. Guido, abate di Pomposa, è discepolo. In secondo luogo, questa Chiesa ha interpretato in diverse occasioni la voglia di riforma della Chiesa, di una purificazione da abitudini, resistenze, chiusure, di cui sono testimonianza esperienze straordinarie di vita contemplativa e attiva e figure – come il beato Vescovo Giovanni Tavelli da Tossignano e il domenicano  Girolamo Savonarola – che sogneranno e daranno anche la vita  per una Chiesa  ‘libera, povera e bella’. Infine nella storia della spiritualità contemporanea di questa Chiesa incontriamo l’impegno sociale e politico come luogo per un nuovo servizio all’uomo nel lavoro, nell’economia, nella finanza, nella cultura. Penso alla bella figura di Giovanni Grosoli, la cui pluriforme azione ha informato il movimento sociale cattolico ferrarese e non solo, l’Azione Cattolica, alimentando insieme ad altri movimenti e associazioni una spiritualità che sta generando nuove figure di santità laicale, tra cui ricordiamo, Alberto Marvelli, Flora Manfrinati, Laura Vincenzi e Riccardo Tagliati. Lo sguardo ad Oriente, che oggi significa apertura al mondo e al dialogo ecumenico e interreligioso, una riforma della Chiesa, che oggi chiede responsabilità e trasparenza, sinodalità, un rinnovato impegno politico e sociale: sono tre linee di continuità nella Chiesa tra Ferrara e Comacchio, che vive in pianura e si affaccia al mare, che guarda a Roma e a Costantinopoli, ad Atene e a Gerusalemme, e che vuole prepararsi al futuro con gioia e speranza.

Il ‘vento’ della Pentecoste ci scuota e ci aiuti a rileggere la storia di Gesù e a rinnovare la nostra storia, non disperdendo, ma rinnovando un patrimonio di spiritualità e di fede. Il 3 giugno 1963 moriva il Santo Padre Giovanni XXIII che, illuminato dallo Spirito ebbe il coraggio di annunciare e aprire il Concilio Vaticano II, primavera della Chiesa. A Lui affido l’inizio del mio ministero episcopale. La Madonna, patrona della nostra Arcidiocesi invocata come Beata Vergine Maria, Madre delle Grazie e Santa Maria in Aula Regia, ci accompagni oggi come ha accompagnato gli apostoli ad essere ‘pescatori degli uomini’. ‘Veni Creator Spiritus’, vieni tra noi Spirito Creatore.

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