Politica
26 Settembre 2016
Primo incontro per ‘Dialoghi in Centro’: le paure della Riforma e le risposte dei sostenitori

Referendum Costituzionale: il Pd e le ragioni del sì

di Redazione | 4 min

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Non tutti sanno che i sostenitori per il Sì al Referendum Costituzionale sono sbarcati sui nostri smartphone già da inizio settembre: c’è un’applicazione, Costituendum, che misura il nostro grado di conoscenza delle novità che il testo Renzi-Boschi introduce attraverso una serie di domande. Si possono accumulare punti e arrivare così a sfidare persino il Ministro: “Ho sfidato chi sostiene il No – confida pungente la consigliere regionale Pd Marcella Zappaterra – e ha risposto correttamente a due domande su dieci”.

Di certo il Partito Democratico non manca di rammentare come il proprio impegno sia diretto ad una riflessione sulla Riforma posta nei soli termini di corretta informazione, e la App nasce con lo stesso dichiarato obiettivo. Lo ricordano anche i relatori di ‘Dialoghi in Centro’, ragionando su sulle parole della Riforma e su quelle messele in bocca dai detrattori. Si parla spesso delle novità della Riforma in termini di merito – superamento del bicameralismo perfetto, ridimensionamento del Senato, certezza dell’iter per le Lip – ma i relatori all’appuntamento ferrarese, incalzati dal direttore di estense.com Marco Zavagli, moderatore dell’incontro, hanno cercato piuttosto di rispondere a preoccupazioni reali, tenendo a debita distanza i tecnicismi.

“No, il combinato disposto neppure esiste” taglia corto la costituzionalista UniFe Sara Lorenzon. “Un No alla Riforma non spazzerà via l’Italicum, è un voto sulla Riforma quello richiesto, l’Italicum è la legge elettorale della Camera e resta in ogni caso. E poi no, non c’è alcuna concentrazione dei poteri forti nella mani del Premier, anzi si riduce la capacità di Governo in quello che è diventato un vero e proprio abuso dello strumento del Decreto legge, un problema già sottolineato dalla Corte Costituzionale e che sarebbe finalmente risolto dalla Riforma grazie all’introduzione di una limitazione rigorosa dell’oggetto del Ddl”. La stessa paura di un Presidente della Repubblica come diramazione, in un certo senso, del Governo è dissipata “dall’innalzamento della soglia (che diventerebbe dei due terzi fino al quarto scrutinio, ndr) per l’elezione”, continua. Non ci sarebbe da temere neanche uno sbilanciamento nell’elezione dei Giudici Costituzionali o dei membri laici del Consiglio Superiore di Magistratura: “vigono in questi campi sistemi di super maggioranze”. E la risposta è ancora no se si paventa la nuova composizione del Senato – che con il Sì diventa un organo rappresentativo delle autonomie regionali, composto da 74 consiglieri regionali e 21 sindaci – come stratagemma per ampliare l’immunità ai consiglieri: “l’immunità è una prerogativa costituzionale – chiosa Lorenzon – una forma di garanzia valida per la sola durata dello svolgimento della propria funzione”.

Il superamento del bicameralismo paritario, quale è quello vigente, ridistribuisce le competenze dei due rami del Parlamento: una Camera politica e un Senato delle Regioni. Con l’abolizione delle Province, le Regioni diventano il tramite necessario tra Stato e Comuni – anche se c’è chi vedrebbe di buon occhio un’abolizione delle Regioni stesse – e otterrebbero voce in campo legislativo proprio grazie al Senato. Alle Regioni la Riforma toglie però capacità legislativa su molte questioni – energia, trasporti e salute per citarne alcuni – introiettandole definitivamente nelle mani dello Stato e limitando la possibilità di contenzioso: “si tratta di equità sociale, ma questo potrebbe esser letto come nuovo centralismo – evidenzia Zappaterra – e se anche fosse, ma non mi sembra che il regionalismo differenziato abbia avuto grande successo”. E il Senato, con il suo ridimensionamento – dai 315 membri attuali ai 100 previsti dalla Riforma – è il primo nome alla voce ‘risparmio’. Eppure, ammonisce il consigliere regionale Pd Paolo Calvano, “sarebbe sbagliato votare Sì per i tagli previsti alla politica: questo è solo uno degli aspetti, e forse uno dei più marginali”.

La stessa politica, se per assurdo costasse un solo euro ma fosse comunque inefficace, “metterebbe in discussione la democrazia, e sarebbe un euro speso inutilmente”, sostiene Calvano. I veri risparmi deriverebbero infatti dalla “riduzione del conflitto Stato-Regione e dell’inefficacia delle norme, che si arenano in Parlamento non soltanto per colpe politiche ma anche a causa del sistema del bicameralismo”. Il Sì al testo Renzi-Boschi si indirizzerebbe quindi piuttosto “a fornire uno strumento a chi governa – conclude – perché lasci il Paese meglio di come l’ha trovato”. Ma l’App Costituendum a questo non sa rispondere.

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