di Anja Rossi
Un peso, un costo sociale, un nemico. L’altro da noi viene spesso visto sotto una lente di distorsione, ne abbiamo chiari esempi tutti i giorni, è capitato anche nella tranquilla Ferrara. Il suicidio di un ragazzo di colore non è che l’ultimo oggetto di discussione, non sarà l’ultimo. Ma come agisce l’uomo del 2016 di fronte all’accoglienza dell’altro? A spiegarlo, con più spunti di riflessione, ci ha provato Michele Illiceto, docente di filosofia alla facoltà teologica Pugliese, durante la conferenza “Alterità e fragilità. Alle ragioni dell’accoglienza”, promossa dall’associazione Viale K e da Agire sociale e tenuta ieri (sabato 16) alla sala dell’Arengo del Comune.
Indagando gli elementi che portano alla fragilità strutturale, Illiceto riscontra tre grandi crisi della nostra epoca, dove quella economica non è che una conseguenza, “dettata da un liberismo sfrenato e da investimenti culturali sbagliati”. La prima crisi che lo studioso contempla è invece quella della verticalità, ovvero del venire meno del senso. “È questa la morte di Dio, che non è una questione religiosa ma è invece un problema di ragione. Razzista è chi non pensa o usa il pensiero in modo sbagliato, legandolo al potere e non alla libertà”.
La seconda è la crisi dell’interiorità. “Nel mondo attuale – continua – non si fanno più i conti con se stessi e con la propria fragilità. Da qui scaturisce un altro problema: chi fa volontariato per evadere dai propri problemi quotidiani”. E, infine, la terza: la crisi dell’orizzontalità. “È in questa terza crisi che l’altro diventa una minaccia, un costo, un nemico”. Michele Illiceto riprende Socrate. “Quando Alcibiade dice al filosofo che vuole fare il politico, Socrate risponde: conosci te stesso. Questo vuole dire che se si vuole imparare a governare gli altri, bisogna prima imparare a governare i propri egoismi, i propri vizi”.
Secondo Michele Illiceto, la crisi verso gli altri parte dunque da una propria interiorità “sfilacciata”, il regno dei Narcisi. “Nessuno è al sicuro. Basta cambiare città, lavoro, amore, che cambia la nostra identità. Siamo tutti fragili, ognuno di noi ha la propria soglia di fragilità. Siamo mancanti di cose e di persone. Questo crea una fragilità sociale, che crea a sua volta legami liquidi e ci rende sempre più cinici verso gli altri”.
Come possibile soluzione, volta a un superamento dello stato delle cose, Illiceto riprende le parole di Pier Paolo Pasolini, che diceva: “Penso che sia necessario educare le nuove generazioni al valore della sconfitta. Alla sua gestione. All’umanità che ne scaturisce. A costruire un’identità capace di avvertire una comunanza di destino, dove si può fallire e ricominciare senza che il valore e la dignità ne siano intaccati. A non divenire uno sgomitatore sociale, a non passare sul corpo degli altri per arrivare primo. In questo mondo di vincitori volgari e disonesti, di prevaricatori falsi e opportunisti, della gente che conta, che occupa il potere, che scippa il presente, figuriamoci il futuro, a tutti i nevrotici del successo, dell’apparire, del diventare. A questa antropologia del vincente preferisco di gran lunga chi perde. E’ un esercizio che mi riesce bene. E mi riconcilia con il mio sacro poco”.
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