Tra terremoto e crisi economica, mancava solo la siccità a rendere ancora più horribilis questo 2012, in Italia e nel Ferrarese. E infatti puntualmente è arrivata, o meglio è sotto osservazione da mesi e comincia a presentare il suo conto, stimato ieri dall’assessore provinciale all’Agricoltura Stefano Calderoni. Un conto che porterà a domandare il riconoscimento dello stato di calamità naturale.
Tra l’agosto del 2011 e il giugno scorso, ha spiegato oggi il presidente del Consorzio bonifiche Franco Dalle Vacche, sul nostro territorio sono caduti solo 303 millimetri di pioggia, il 45% in meno rispetto all’analogo periodo di un anno prima (552), neanche la metà di quelli del 2009-10 (752), la cifra più bassa per lo meno degli ultimi vent’anni. E il problema non è solo questo, perché “se è già capitato che piovesse poco, o in maniera maldistribuita, o che ci fossero sbalzi termici – ha continuato Dalle Vacche –, non è mai accaduto che questi fattori agissero in maniera sinergica”. Insomma, tutti insieme.
Iproblemi legati al clima cominciano infatti a farsi sentire con forza alla fine di aprile, “quando l’abbassamento delle temperature – ricorda Calderoni – danneggiò le colture della mela, della pera e del kiwi, per le quali oggi si registrano crolli del prodotto lordo vendibile anche dell’80%”. La carenza di pioggia dei mesi successivi è stata avvertita dal grano (-20/30% di Plv), ma soprattutto dal mais, che è la vera emergenza sui campi del 2012. “Ci sono luoghi in cui si sfiora il -70% di Plv – ha continuato l’assessore –, e ciò significa in pratica che, a macchia di leopardo, il raccolto è andato perduto: il costo della raccolta supererebbe infatti il guadagno della vendita”.
Si pone dunque il problema di cosa fare di questo mais inutilizzabile a fini alimentari, “in cui le pannocchie e le granelle – ha raccontato sempre oggi il presidente di Confagricoltura Nicola Gherardi – non si sono sviluppate. C’è la possibilità di utilizzarlo nelle centrali a biogas, e ieri abbiamo fatto una prova a Bando”, ma non è detto che questa possibilità renda sostenibile il costo della raccolta.
Un conto più preciso dei danni sarà fatto solo a fine stagione, verso settembre-ottobre, quando bisognerà individuare i perimetri entro cui il calo del Plv è stato superiore al 30%, condizione imprescindibile per beneficiare del riconoscimento dello stato di calamità, per quanto questo fondo sia “ormai senza risorse” secondo Gherardi. Calderoni, tuttavia, ha parlato di un danno che “non si discosterà dai 200 milioni”: sommato ai 150 causati dal terremoto (http://www.estense.com/?p=231176) significa la perdita della metà del Plv provinciale, pari a circa 700 milioni. Se a questo si aggiungono ancora i maggiori costi per gasolio e fitofarmaci e il pagamento dell’Imu, l’obiettivo da porsi, ha concluso l’assessore, è “evitare che qualcuno non ce la faccia ad arrivare a fine anno”.
E il ridimensionamento del settore si rifletterà ovviamente sull’indotto, come ha fatto presente sempre stamani Confcooperative: ci saranno meno prodotti da stoccare, dunque saranno necessari meno lavoratori, e le stesse cooperative già immaginano la difficoltà che gli agricoltori incontreranno nel pagarle.
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