Cronaca
9 Luglio 2012
Edifici a rischio senza lo studio dei suoli. Non basta l'intervento strutturale degli ingegneri

Geologi: allarme ricostruzione post terremoto

di Redazione | 5 min

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L’ultima aspra critica dei geologi su come viene affrontato il terremoto è arrivata nei giorni scorsi dal presidente nazionale della categoria, Gian Vito Graziani. È un appello indirizzato con forza al presidente  del consiglio Mario Monti, perché non si proceda alla ventilata ipotesi di abolire la relazione geologica (lo studio preliminare dei suoli) che oggi deve accompagnare il progetto per la costruzione di un edificio.  E il riferimento al terremoto emiliano è forte ed esplicito: “l’ennesima catastrofe che ha colpito l’Emilia Romagna, afferma Graziani, ha portato all’attenzione, questa volta in modo più evidente che in altre occasioni, a quanto importante e strategica sia la conoscenza geologica del nostro territorio”.

Già  all’ indomani  del terremoto del 20 maggio,  Il presidente dei geologi, sottolineando la necessita di  accelerare gli studi di microzonizzazione sismica, affermava che “per mettere in sicurezza il nostro Paese,  la strada da perseguire non è soltanto quella, ancorché importantissima, degli interventi strutturali e dell’inserimento dei dissipatori ma è ancor prima quella degli studi della risposta sismica dei terreni”.

La preoccupazione – e l’insofferenza – dei geologi ferraresi per un’impostazione considerata troppo ‘ingegneristica” dell’analisi dei suoli – sia in fase di ricerca sia in fase ricostruzione post terremoto – è emersa in tutta la sua evidenza a proposito dei danni prodotti dal fenomeno della liquefazione dei terreni nell’Alto Ferrarese e della possibilità che ciò possa verificarsi anche in città (vai all’articolo).

La posizione dei geologi che, con toni più o meno sfumati, hanno indicato una grave insufficienza dei metodi “ingegneristici” utilizzati nell’indagine geosimica per l’elaborazione dei Piani strutturali comunali (Psc)  e’ stata ampiamente discussa anche su queste pagine, ed efficacemente sintetizzata da Antonio il 25 giugno 2012 alle 10:44 in http://www.estense.com/?p=229156.

Mariantonieta Sileo, geologa libero professionista della nostra città, si è espressa in maniera molto esplicita sulla vicenda del terremoto nell’Alto ferrarese, e ritiene necessario un cambio d rotta perche gli errori fio ad ora commessi non si ripetano. “La battaglia che vorrei portare avanti – afferma Sileo – è di estrema importanza perché l’elemento di massimo rischio causato dai terremoti può essere superato se si seguono opportuni metodi indagine. Non si può scrivere che esiste un livello nullo o basso di ‘effetto di sito’  senza avere una conoscenza geologica sufficiente del terreno e basandosi su poche prove penetrometriche. Ci sono metodologie e tecnologie correntemente utilizzate dai geologi e sperimentate in America e in Giappone che consentono di ottenere precise mappe geologiche e di comportamento del terreno durante i terremoti”.

Da una tragedia come questo terremoto, ora che il momento di massimo rischio sembra essere superato, si devono, secondo la geologa, trarre insegnamenti utili per il futuro.

“Anzitutto, dice Sileo,  prendiamo atto del fatto che nel corso del tempo si è creata una confusione di ruoli che va risolta. L’Università deve concentrarsi sulla ricerca, non fare i Psc. E bisogna avere ben chiaro che un approccio ingegneristico che non tenga conto di approfondite conoscenze geologiche può essere inutile e dannoso”.

“Il mio – sottolinea Sileo – è un appello accorato anche  a tutti i tecnici che stanno lavorando attualmente alla ristrutturazione e messa in sicurezza dei numerosi edifici lesionati anche in città. Prima di affrontare gli interventi  di tipo ingegneristico bisogna verificare se è stata fatta un’accurata analisi geologica poiché il centro storico in parte poggia su antichi paleo alvei. Per mia personale esperienza ho potuto verificare, ad esempio, che sotto Via della Paglia c’è una antica cloaca, attiva anche al tempo degli estensi. Si rischia cioè di intervenire sugli edifici senza sapere con precisione cosa c’è sotto”.

Anche per Marco Bondesan, geologo già docente presso la nostra Università e massimo esperto del nostro territorio, è necessario trovare una migliore integrazione fra diversi ruoli e competenze. “A volte mi sembra  di parlare fra sordi, afferma. I rapporti fra esperti dei diversi campi, fra geologi e ingegneri, fra chi lavora dentro e chi fuori dall’Università a volte funzionano ma troppo spesso si interrompono. Spesso le conoscenze non vengono condivise, come dovrebbe invece accadere nella comunità degli scienziati. Anche se, conclude, mi sembra che dopo questo terremoto ci sia una volontà di ripresa di collaborazione”.

Per Carmela Vaccaro, geochimico  del nostro ateneo,  “è necessario superare le polemiche e attivare una efficace collaborazione fra gli esperti del suolo e quelli delle tecniche di edificazione, fra le diverse istituzioni, e con i professionisti che, al di fuori dell’accademia, lavorano direttamente sul territorio. E altrettanto importante, per gestire la paura della popolazione, è che ci sia un dialogo fra esperti e cittadini che porti a una partecipazione nelle procedure di comunicazione e gestione del rischio”.

Per noi, che esperti non siamo, è importante rilevare che non ci troviamo – per fortuna -, davanti a una controversia scientifica in cui si scontrano diverse spiegazioni dei fenomeni naturali e si propongono modelli interpretativi e soluzioni inconciliabili. Semmai siamo di fronte a problemi di comunicazione, conflitti di interesse, difficoltà di coordinamento.

Come ha affermato recentemente Bruna De Marchi, sociologa esperta di comunicazione del rischio,  durante la tavola rotonda dal titolo ‘Come si comunica il rischio sismico? (leggi) svolta alla Facoltà di Economia, basterebbe forse partire da alcune semplici regole: ricerca di collaborazione, apertura del proprio gruppo scientifico al linguaggio degli altri gruppi, mettere a sistema le esperienze precedenti per non ripartire ogni volta da zero, stabilire prima dell’emergenza regole condivise e procedure efficaci, e – non ultimo – costruire rapporti di conoscenza personale e stima reciproca fra chi un giorno potrebbe trovarsi a gestire la sicurezza dei cittadini.

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