Cronaca
4 Luglio 2012
Tagliani: “Serve un protocollo per gestire le emergenze”

Gli scienziati non tacciono più

di Redazione | 4 min

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(foto di Matilde Morselli)

“Oggi gli scienziati non tacciono più, non rimangono più circoscritti nell’ambito degli esperti. E i cittadini vogliono sapere”. Si fonda su queste parole (pronunciate dal condirettore del Master in Giornalismo e comunicazione scientifica dell’Università Michele Fabbri) la tavola rotonda di ieri pomeriggio alla Facoltà di Economia, dal titolo ‘Come si comunica il rischio sismico?’. Tripartita l’organizzazione pensata dagli ideatori: prima gli scienziati, quindi le figure intermedie di scienziati ma anche comunicatori, infine gli amministratori.

Quanto ai primi, l’ex docente di geologia del nostro ateneo Marco Bondesan ha ricordato che quello della comunicazione era già un problema sul finire degli anni Sessanta, “quando stava venendo avanti un ambientalismo in una versione disorientante, fatta di leggende metropolitane. Per questo con alcuni colleghi fondammo la Società dei naturalisti ferraresi: bisognava comunicare correttamente e dare la possibilità di discutere”. E allora diciamo la verità, una verità che il geologo rivendica di aver sempre affermato: “siamo in una zona sismica, una zona in cui, negli ultimi 800 anni, la terra ha tremato quindici volte”. Sull’argomento la Società ha svolto nei decenni già tre iniziative, “e a breve, ovviamente, ne convocheremo un’altra”.

Dalle nostre parti poi, e anche nel capoluogo, c’è un rischio in più: la liquefazione. Nel sottosuolo, nei dintorni di via del Turco, “si distacca un vecchio ramo del Po che procede verso Francolino”. Sotto la superficie insomma c’è sabbia, e guarda caso “gli edifici costruiti sul suo corso sono proprio quelli più danneggiati, tra cui il Castello”.

Carmela Vaccaro, professore associato di Georisorse minerarie e applicazioni mineralogico-petrografiche per l’ambiente e i beni culturali, ha concordato sul fatto che “questo è un territorio conosciuto”, ma “mancano il trasferimento della conoscenza alla popolazione ed il monitoraggio dei precursori sismici: l’uscita di gas dal sottosuolo e le variazioni topografiche”.

Il nostro concittadino Massimo Coltorti, componente della Commissione Nazionale per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi, nonché ordinario di Petrologia e Petrografia, racchiude nel proprio lavoro il ruolo dello scienziato e quello del comunicatore, ed ha svelato qualche retroscena sul comunicato dell’8 giugno, quello in cui la Commissione affermò che “nel caso di una ripresa dell’attività sismica nell’area già interessata dalla sequenza in corso, è significativa la probabilità che si attivi il segmento compreso tra Finale Emilia e Ferrara con eventi paragonabili ai maggiori eventi registrati nella sequenza”. Un passaggio con cui aprirono i quotidiani nazionali del giorno dopo.

“Io ufficialmente non sapevo di quel comunicato – ricordiamo che Coltorti è di Ferrara, ndr –, lo seppi solo ufficiosamente”. Che la comunicazione nella stessa Grandi Rischi debba funzionare meglio non c’è dubbio, considerato che si articola in quattro settori (rischio sismico, rischio vulcanico di cui fa parte Coltorti, rischi meteo-idrologici, rischio chimico) “i quali già quando devono comunicare fra loro…”.

In conclusione del primo giro di interventi, prima dello spazio lasciato al pubblico, qualche altro retroscena l’ha proposto il sindaco Tiziano Tagliani, in rappresentanza ovviamente degli amministratori. Il problema è: la Protezione civile è una struttura che fa capo al Governo e si muove in autonomia, ma i cittadini si rivolgono al Comune, che nelle prime ore dopo una calamità ha competenze limitate. E quanto a comunicazione…

“La mattina di domenica 20 – ha raccontato infatti il primo cittadino –, attorno al tavolo della prima emergenza c’era una pletora di persone: dalla Prefettura alla Provincia, dai Comuni interessati alle Soprintendenze, dai Vigili del fuoco alla Polizia ai Carabinieri… Ognuno con una propria competenza, che giusto in quel momento ha dovuto definire. E a fine incontro ci siamo scambiati i numeri di telefono, come se stessimo tornando da una gita in montagna”. Una domanda tra le tante allora: “chi convoca chi? Occorre un protocollo”.

C’è poi il fatto che “la Protezione civile ha una propria struttura, non accessibile ai sindaci, e perfino un proprio linguaggio: abbiamo dovuto spiegare ai cittadini in quali casi compilare la scheda Aedes, ma perché deve chiamarsi così? Non lo sapevamo nemmeno noi, non poteva chiamarsi semplicemente ‘scheda’? E anziché dire alla gente di andare al Coc – Centro operativo comunale, ndr –, non si poteva dire semplicemente di andare in via Marconi nell’ex sede di Acosea?”. Insomma, conclude Tagliani, “le persone con cui abbiamo avuto a che fare sono state tutte brave, ma c’è bisogno di un contesto. E su questo c’è da fare parecchia strada”.

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