Cronaca
2 Luglio 2012
Una delibera della giunta regionale del 2007 è rimasta lettera morta

Liquefazione, cosa andava fatto

di Redazione | 4 min

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La liquefazione dei terreni che si è verificata nei comuni dell’Alto ferrarese era una fenomeno ritenuto possibile già nel 2008, quando fu elaborato il Quadro conoscitivo del Piano strutturale dell’associazione dei comuni dell’alto ferrarese. Ma si trattava solamente dei risultati di una prima indagine “ad ampio spettro”, a cui, afferma Sergio Boscoli – membro del gruppo di lavoro che ha elaborato la relazione-, “avrebbero dovuto seguire indagini più approfondite che devono portare ad una ‘microzonizzazione’, che consenta di conoscere con precisione gli ‘effetti di sito’ (le trasformazioni geologiche che subisce una determinata area a causa del terremoto) su precise zone destinate all’edificazione. Si tratta di informazioni fondamentali sia per la sicurezza, sia per avere un’idea precisa degli interventi che è eventualmente necessario sostenere”.

Senza quelle indagini tutto è lasciato al caso. E gli eventi del 20 e 29 maggio hanno reso palese quali possono essere le conseguenze del “caso”.

Microzonizzazione che non compare nel quadro conoscitivo, e la cui mancanza fu più volte successivamente segnalata.

Va notato che la microzonizzazione non è un “di più”, un eccesso di cautela opinabile a seconda dei pareri – a volte contrastanti-  degli esperti, ma un preciso impegno per le amministrazioni comunali, previsto con la delibera 112 del 2007 dall’Assemblea legislativa della Regione Emilia Romagna. Il percorso da seguire è indicato con chiarezza nella delibera, e prevede tre livelli successivi.

La prima fase di studio, che corrisponde al primo livello conoscitivo, deve definire gli scenari di pericolosità sismica, cioè deve consentire l’individuazione delle aree soggette ad effetti locali in caso di sisma (amplificazione dell’impulso sismico, instabilità dei versanti, fenomeni di addensamento/liquefazione, cedimenti dei terreni, ecc.). Questa prima fase deve essere elaborata in una scala territoriale provinciale o comunale.

“I risultati riportati nel Quadro conoscitivo – afferma Boscoli – si riferiscono a questo primo livello di indagine, condotto ’a maglia larga’ con un numero limitato di prove penetrometriche, uno dei sistemi di indagine oggi disponibili. È proprio sulla base di questi primi importanti risultati raggiunti che si rende necessario passare ai livelli di indagine successivi, e anche  con altri tipi di strumenti e documentazione”.

La seconda fase di studio deve giungere alla valutazione della risposta sismica locale e alla microzonizzazione del territorio. E’ a questo livello di indagine che si ottengono le indicazioni utilizzabili praticamente per la sicurezza gli edifici “perché – afferma Boscoli – sarebbe impossibile imporre a tutto un territorio gli interventi – e i costi- per mettere in sicurezza gli edifici, quando si possono invece conoscere le aree ben identificabili sottoposte a effettivo pericolo di liquefazione”.

Del resto è nello stesso quadro conoscitivo che si dichiara “Per le parti di territorio già urbanizzate o indicate come suscettibili di urbanizzazione ricadenti nelle aree potenzialmente suscettibili di liquefazione, è necessario, secondo le indicazioni degli Indirizzi Regionali, analizzare prove geofisiche e geotecniche, sia in sito che in laboratorio, per arrivare a definire il comportamento dei terreni sotto sollecitazione dinamica”.

Ed è un livello di conoscenza che spetta ancora alle amministrazioni comunali acquisire.

Il terzo livello, infine, che secondo Boscoli potrebbe anche essere di competenza dei singoli proprietari degli edifici o dalla Pianificazione urbanistica attuativa (Pua), deve arrivare a definire come si comporta il terreno del singolo edificio sotto  la sollecitazione dinamica indotta dal terremoto.

Non solo. Va rilevato, afferma Marilena Martinucci, geologa dell’Università di Bologna,“che una Delibera di giunta regionale del 2009 prevedeva procedure speciali per gli ‘edifici strategici’ come municipi, scuole e ospedali, fondamentali per la vita della comunità durante e dopo le calamità, e per i quali erano stanziati appositi fondi. Le immagini delle macerie degli edifici comunali di Sant’Agostino e Poggio Renatico sono la triste icona di questo terremoto e di cosa non è stato fatto”.

Per avere un quadro visivo sintetico di quanto enucleato e per rispondere alle sensate obiezioni di alcuni geologi su questo sito (leggi il post delle ore 18.05 del 25 giugno all’articolo “Liquefazione, rischio conosciuto già nel 2008” http://www.estense.com/?p=229156), si confrontino la Carta del potenziale di liquefazione del 2008 e la Carta semaforica delle aree che necessitano di approfondimento di secondo e terzo livello. La prima carta corrisponde al primo livello di indagine, riportando i pochi punti di pericolosità rilevati a quel livello di indagine. La seconda indica le aree in cui era necessaria l’indagine di secondo e terzo livello: tutte.

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