Cronaca
24 Novembre 2011
Operazione Domino: cinque arresti per la squadra mobile di Ferrara

In manette i professionisti delle truffe

di Marco Zavagli | 3 min

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Un’operazione durata due anni per concludersi con tre ordinanze di custodia cautelare in carcere e due ai domiciliari. La squadra mobile di Ferrara presenta i risultati dell’operazione “Domino” che ha portato a galla quella che gli inquirenti considerano una associazione a delinquere finalizzata alla truffa. In mezzo anche la denuncia di 19 persone, tutti prestanome per le presunte operazioni illecite.

In carcere, dopo l’esecuzione delle misure disposte dal gip Monica Bighetti, sono finiti Claudio Albini, 46 anni, di Ferrara, Marco Zucchini, 42 anni, di Ferrara, e Daniele Buzzoni, 53 anni, di Santa Maria Maddalena (Ro). Ai domiciliari Massimo Cervellati, 44 anni, di Ferrara, e Domenico Coiro, 35 anni, di Montesano sulla Marcellana, in provincia  di Salerno.

Le vittime sarebbero istituti di credito, finanziarie, compagnie di telefonia mobile. Secondo gli inquirenti il gruppo si procurava documenti veri “in bianco”, che venivano successivamente falsificati a regola d’arte. Con questi riuscivano a ottenere finanziamenti, mutui e pc e cellulari in comodato d’uso gratuito attraverso sottoscrizioni di abbonamenti telefonici che non venivano poi onorati.

Tutto nasce da un normalissimo controllo su strada. Siamo a febbraio del 2010. Una volante della polizia ferma una Bmw X5. Gli agenti si insospettiscono alla vista della carta di circolazione, risultata poi falsificata. I dubbi si infittiscono quando si scopre che la targa è sì vera, ma immatricolata sopra una Porsche, finita in qualche modo in Slovenia.

L’attenzione si concentra sul libretto dell’auto. Dagli accertamenti risulterà rubato alla motorizzazione di Pisa, da dove sparirono ben 16mila carte in bianco (quindi da “compilare” a piacimento dei ladri). Il documento era intestato a una società fittizia che faceva capo ad Albini, ritenuto dagli investigatori la testa dell’organizzazione. Partono così le indagini a tutto campo, che si sviluppano attraverso intercettazioni (circa 13mila le conversazioni registrate), pedinamenti di giorno e di notte, in auto e anche in bicicletta, per non dare troppo nell’occhio.

Dagli indizi raccolti sembra che gli indagati utilizzassero carte d’identità fornite da persone compiacenti (disoccupati ma anche studenti e commercianti). Sostituivano la foto e con il nuovo documento si presentavano agli sportelli di banche, finanziarie e compagnie telefoniche. Le rate arrivavano poi nel domicilio del prestanome di turno, che si chiamava fuori dicendo di non riconoscere la firma sul contratto. Tutto questo in cambio di una percentuale sugli introiti. Con i soldi ottenuti dai finanziamenti avrebbero acquistato auto da rivendere. Stesso destino per computer portatili e telefonini.

I compiti di Zucchini e Buzzoni sarebbero stati invece quelli di reclutamento dei prestanome e di preparazione della documentazione da fornire agli istituti di credito.

In merito alla vendita delle auto un ruolo particolare avrebbe rivestito Cervellati, titolare si una concessionaria in città (non più in attività), che avrebbe procurato ai complici preventivi utilizzati poi per chiedere i relativi finanziamenti. A un certo punto Cervellati si sarebbe valso della collaborazione di Coiro per creare società fittizie in grado di dare credibilità alle loro operazioni (la polizia ne ha individuate otto, ricostruendo anche 28 episodi di presunte truffe ed è riuscita a evitarne altre, “che avrebbero fruttato – assicura il comandante della Mobile, Andrea Crucianelli, che ha ereditato l’inchiesta dal comandante Pietro Scroccarello – diverse centinaia di migliaia di euro”).

In tutto il giro d’affari quantificato dagli inquirenti si aggirerebbe attorno al milione di euro.

L’operazione ha ricevuto anche il plauso del questore Luigi Maurellio, che ha sottolineato la difficoltà di portare a compimento indagini di questo tipo, “dove il truffatore è quasi sempre un professionista, in grado di fare il cosiddetto calcolo del rischio, vale a dire soppesare quello che guadagna con il pericolo che corre”. Anche per quanto riguarda il rischio, la eventuale pena non rappresenta un deterrente: “la pena in casi come questi può oscillare tra i 3 e i 6 anni, quando invece un disperato che scippa una borsetta si vede messo in carcere per 6 anni. Di qui l’importanza di provare la associazione a delinquere, che presenta pene ben più consistenti”.

Operazione Domino

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