Cronaca
13 Settembre 2018
Anche in Appello rimane la pena di 18 anni per Riccardo e Manuel, l’esecutore materiale e il mandante

Duplice omicidio di Pontelangorino, confermate le condanne per i baby killer

di Redazione | 4 min

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Nessuno sconto. La sezione minorenni della Corte di appello di Bologna ha confermato la condanna a 18 anni di reclusione per Riccardo Sartori e Manuel Vincelli, i due giovani che nella notte tra il 9 e il 10 gennaio 2017 hanno massacrato e ucciso a colpi d’ascia (Riccardo l’esecutore materiale e Manuel il mandante) i coniugi Salvatore Vincelli, 60 anni, e Nunzia Di Gianni, 45 anni,nella loro abitazione di Pontelangorino.

I due amici, lo scorso febbraio, erano stati condannati a identica pena in primo grado in rito abbreviato, per omicidio premeditato con l’aggravante dei futili motivi e della minorata difesa (visto che i coniugi Vincelli sono vennero aggrediti durante il sonno), dopo che la procura aveva chiesto 20 anni.

Oltre a chiedere a un abbassamento della pena, i legali di Sartori e Vincelli avevano puntato soprattutto sulla possibilità di pene alternative per i loro assistiti, che nella condanna di primo grado emessa dal giudice del tribunale dei minori Anna Filocamo era stata rigettata.

Quel duplice omicidio, date l’età dei protagonisti e l’efferatezza dell’esecuzione, sconvolse l’Italia intera.

UCCISI NEL SONNO. Secondo la ricostruzione fatta dai carabinieri sulla base della consulenza medico legale del dottor Lorenzo Marinelli, quella notte Nunzia Di Gianni si accorse che qualcuno la stava per uccidere.

Non è dato sapere se in quelle frazioni di secondo sia stata in grado di distinguere il volto di Manuel, l’amico del cuore del figlio che aveva visto crescere negli ultimi anni. Di sicuro la donna si svegliò e provò per quanto possibile a difendersi.

La sua mano presentava una ferita da difesa. Un’unghia rotta e un taglio all’altezza delle dita. Su di lei la furia omicida del minorenne si era accanita con dieci colpi sferrati con la parte posteriore dell’ascia trovata nel garage dell’abitazione di via Fronte Primo Tronco.

Alcuni colpi l’avevano raggiunta presso il solco bulbo-pontino, dove ci sono centri del respiro. Fatto che, associato alla successiva copertura della testa con il sacchetto di plastica, ne causarono la morte per soffocamento. L’esame istologico dei polmoni confermò la morte per ipossia, per mancanza di aria. La donna sarebbe deceduta comunque.

L’ultimo respiro avvenne mentre il figlio e l’amico tentarono di spostarla dal letto e portarla in macchina (il piano prevedeva poi di gettare i corpi nei canali vicini per farli sparire). Le condizioni in cui versava – in fin di vita e sicuramente non più cosciente – le impedirono di vedere dietro quelle mani che la trascinavano il volto del figlio Riccardo.

Prima di lei, l’omicida materiale si era accanito contro il padre. Salvatore Vincelli non si accorse di nulla. I tre colpi di ascia sferrati sul suo volto ne provocarono istantaneamente la morte per encefalopatia traumatica acuta e irreversibile. Il viso infatti era completamente sfigurato, con mandibola mascella e zigomi ridotti in poltiglia. Particolare macabro che rende però l’idea della violenza e della forza con cui avvenne il massacro.

Sul suo corpo vennero riscontrate altre due lesioni minori. Una su mento e labbro, dove era rimasta impressa l’impronta delle Adidas dell’assassino, che forse cercava di scavalcarne il corpo per raggiungere la seconda vittima sdraiata di fianco; la seconda – avvenuta post mortem – nella zona lombare causata dall’impatto con un gradino mentre i baby killer cercavano invano di spostare il cadavere.

LE CONFESSIONI. Dalle confessioni in carcere arrivò il vero, agghiacciante, motivo del massacro. Un duplice omicidio per pochi spicci. A Manuel andarono ottanta euro e spiccioli di acconto su un totale di mille, da “saldare” a lavoro fatto. Era l’accordo tra il figlio e l’amico per ammazzare i genitori.

L’ALIBI. Inizialmente i due amici tentarono di far credere agli inquirenti una realtà completamente diversa. Secondo la prima versione Riccardo e l’amico, “inseparabili, sia a scuola che nel tempo libero” a detta dei loro coetanei, erano reduci da una serata passata assieme, e terminata nella dependance dove il figlio dei coniugi Vincelli viveva. Il 17enne si sarebbe fermato a dormire al civico 100 di via Fronte, la casa dei genitori. Poi, attorno alle 5, si sarebbe sentito male e avrebbe chiesto di essere accompagnato a casa, a Caprile, poco distante da Pontelangorino dove abitava con i genitori e dove la mattina dopo i carabinieri troveranno in un canale l’arma del delitto e vestiti intrisi di sangue.

Le versioni dei due (“simili – riferirono allora gli investigatori – ma che lasciavano molti lati oscuri”) proseguivano con la scuola marinata da entrambi e il ritorno del figlio a casa alle 13, poco prima di chiamare il 112. Ai carabinieri Riccardo dirà in lacrime di aver trovato la madre morta in cucina e il padre senza vita in garage. Tutti e due con la testa avvolta in sacchetti di plastica.

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