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Nove agenti di polizia penitenziaria di stanza nel carcere dell’Arginone di Ferrara sono indagati per truffa ai danni dello Stato, falso ideologico e violazione del decreto Brunetta, quello famoso per la stretta sui fannulloni.
Secondo le indagini della procura coordinate dal pm Giuseppe Tittaferrante, i nove agenti avrebbero presentato certificati medici per visite mai avvenute per rimanere a casa dal lavoro, percependo ovviamente lo stipendio come in un normale giorno di malattia.
A vidimare le assenze – con diagnosi quasi speculari – un medico condotto che lavora nell’Arginone. Da qui le contestazioni ai dieci indagati (i nove agenti più il dottore) per fatti che risalgono al marzo e aprile del 2016. In quel periodo si stava consumando una rottura insanabile tra il personale e il comandante di reparto, Lisa Brianese, che aveva portato gli agenti di polizia penitenziaria alla mobilitazione.
In quell’occasione le organizzazioni sindacali Sappe (Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria) e Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria) annunciarono l’astensione ad oltranza dalla fruizione della mensa di servizio e del locale spaccio agenti contro di la comandante colpevole a detta loro di “non avere il polso necessario per far valere l’autorità che rappresenta nei casi di tensione tra agenti e carcerati”.
A dar corpo ai sospetti della procura fu un documento inviato di lì a breve alla magistratura estense dall’allora direttore del carcere Carmela Di Lorenzo, che manifestava le difficoltà organizzative all’interno della casa circondariale per le numerose e contemporanee assenze del personale, tanto da dover ricorrere a ‘supplenti’ inviati da Bologna.
Partite quindi le verifiche, gli inquirenti hanno notato una ulteriore coincidenza: le patologie sofferte sono le stesse per tutti. Vale a dire blocco lombare, gastroenterite e crisi cefalgica.
“Si tratta di episodi sporadici – commenta il legale che assiste tutti gli indagati, l’avvocato Denis Lovison -, parliamo di singoli episodi per persona, con assenze del lavoro al massimo di due o tre giorni. Prese singolarmente le assenze non sono ripetitive e le patologie indicate sono state riscontrate anche in precedenti visite”.
Eppure secondo la procura quelle visite non sarebbero mai avvenute. E questo lo proverebbero i tabulati telefonici e il registro di entrata e uscita del carcere e dell’infermeria. “Le visite sono state effettuate – ribatte l’avvocato -; probabilmente ci saranno stati problemi con le date. Ricostruendo il tutto insieme agli inquirenti in sede di interrogatorio e chiariremo ogni equivoco”.
Lovison ci tiene a far presente che “siamo di fronte a persone, i cui stati di servizio li dipingono come irreprensibili, che per tanti anni lavorato per lo Stato e ora si trovano dall’altra parte, sotto accusa, per qualcosa che se lo fa qualsiasi persona sulla faccia della terra va bene, mentre loro rischiano fino a cinque anni di galera”.
Anche per quanto riguarda il medico, “è un serio professionista che lavora in carcere dal ’77, una bravissima persona, che non ha mai avuto problemi”.
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