Comacchio
13 Settembre 2016
Il capitano Luca Nozza traccia un bilancio di sette anni sotto ai Trepponti

“Comacchio? È parte della mia vita”

di Marco Zavagli | 3 min

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unnamed (6)Comacchio. È arrivato sette anni fa. All’ombra dei Trepponti ha concluso indagini, assicurato i responsabili di reati – anche i più efferati – alla giustizia, ha intessuto rapporti professionali e umani. Ha anche dato alla luce un figlio. E ora, dopo tanto tempo passato alla guida della Compagnia dei carabinieri di Comacchio, per il capitano Luca Nozza, è ora di guardare altrove.

Dalla sua nuova destinazione, Mestre, dalla finestra non troverà più gli orizzonti della laguna comacchiese.

“Ma sette anni non li cancelli con un colpo di spugna. Un po’, o se vogliamo tanto, di Comacchio, resterà sempre con me”.

Più che una dichiarazione di amore, è una constatazione che arriva dopo tanto tempo passato nella piccola Venezia.

“Io ho due fortune. La prima è quella di fare un lavoro che amo. Anche per questo non mi pesano mai i trasferimenti: E la seconda è quella di far parte di una organizzazione che ti permette di fare esperienze professionali a 360 gradi. Al Battaglione di Mestre svolgerò un lavoro completamente diverso da quello fatto fino ad oggi”.

Questo non toglie il fatto che il capitano Nozza a Comacchio lasci una sostanziosa fetta del suo passato, o del suo presente.

“Il rapporto con la gente è sempre stato ottimo. Con le istituzioni, allo stesso modo, ho avuto un rapporto molto buono, cordiale e improntato alla massima collaborazione. Lo stesso vale per le altre forze di polizia. In particolare, in questo ambito, sono nati tanti rapporti di amicizia che vanno al di là del lavoro. E questo è un privilegio”.

In un bilancio lungo sette anni, però, è inevitabile discernere le cose positive da quelle negative.

“Posso dire che, dal punto di vista umano, quello che mi ha colpito di più sono stati gli omicidi di Rina Guidi e di Luciano Spadari. In questi casi hai a che fare con traumi che mai vorresti vivere, nemmeno indirettamente. Penso al dolore dei familiari. Non puoi evitare di immedesimarti in quelle tragedie. Ed, essendo tragedie, non puoi che uscirne con una sensazione di distruzuone”.

Questo non inficia però il fatto che l’esperienza ferrarese abbia portato momenti indicìmenticabili.

il ricordo più bello?

“Su questo non ho dubbi: la nascita di mio figlio Cristian, che oggi ha tre anni. Cristian è nato sotto ai Trepponti, un motivo in più che mi legherà sempre a questo paese”.

Un paese che, visto con gli occhi di un estraneo, non sembra così accogliente.

“Ammetto di non essere mai riuscito a capire il dialetto. Ci ho provato, mi sono applicato, ma quell’idioma rimane incomprensibile.Eppure di città ne ho girate…”.

Qui il curriculum fa le veci del capitano: Castellamare di Stabia (Na), Serino (Av), San Bonifacio (Vr), ora Mestre. In mezzo una missione di nove mesi in Kossovo con la Kosovo – KFOR – Joint Enterprise, sotto l’egida della Nato. Un’esperienza altrettanto ‘indimenticabile’…

“Quei nove mesi non sono stati un passaggio secondario. Ho visto in faccia la sofferenza. Ho capito che a volte, fuor di retorica, basta davvero un sorriso per alleviare il dolore delle persone. È stata una prova irripetibile dal punto di vista umano”.

Sembra che il lato umnao e quello professionale si confondano…

“L’Arma è la mia seconda famiglia, anche perché sono ‘sposato’ con la Benemerita ormai da 25 anni. Ho trascorso più tempo con lei che con la mia famiglia anagrafica. E non è un caso, perché parliamo di una istituzione attentissima alle esigenza delle famiglie”.

Qual è il suo addio a Comacchio?

“Non è un addio, ma un arrivederci. Anzi, un ciao. Avendo figli di una certa età che sono cresciuti qui, posso dire di aver imparato a vivere il territorio. E qui, in questo territorio, tornerò presto a farmmi la mia passeggiata in centro o la mia giornata ai lidi”.

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