Cronaca
2 Giugno 2011
L’arringa del pg: “Si potrebbe forse parlare di dolo eventuale”

Aldrovandi, “poliziotti da condannare”

di Marco Zavagli | 6 min

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Dolo eventuale. I quattro poliziotti condannati per l’omicidio colposo di Federico Aldrovandi tennero una condotta che “sfiora la possibilità di dolo eventuale”. Sono le ultime parole della requisitoria del procuratore generale Miranda Bambace. Un’arringa che non fa sconti a Enzo Pontani, Paolo Forlani, Monica Segatto e Luca Pollastri, per i quali la pm ipotizza in astratto un dolo eventuale, cioè la possibilità che i quattro abbiano accettato il rischio di uccidere con il loro intervento il ragazzo.

Una posizione che ricorda quella lasciata tra le righe della sentenza di primo grado dal giudice Francesco Caruso, che parlò però in ipotesi di omicidio preterintenzionale. La Corte d’Appello di Bologna è invece chiamata a discutere di colpa e su queste basi la pg si dice convinta della “responsabilità degli imputati”. Per i quali “non si può dire che sono stati condannati per una foto (quella del cuore di Federico su cui si basò il prof. Thiene per capire la causa della morte, ndr)”. Anzi, “gli elementi probatori raccolti sono tali e tanti che non possono non far propendere che per la loro colpevolezza”.

Per Miranda Bambace non si può nemmeno parlare di colluttazione per i fatti del 25 settembre 2005, “perché di colluttazione parlano solo gli agenti”, che “non ci hanno voluto raccontare una parte di quel che accadde”. E allora l’accusa avanza a ipotesi. Forse di fronte alla prima volante, Alfa 3, con a bordo Pontani e Pollastri, c’è stato un “tentativo forzoso di portare il ragazzo, senza documenti, in questura per l’identificazione”. Anche perché “l’ipotesi dell’autolesionismo era caduta”: la telefonata della Chiarelli, residente di via Ippodromo, non parla di “un pazzo scatenato che sbatteva la testa contro i pali”. Anche gli operatori di polizia arrivati in via Ippodromo per i primi rilievi intorno alle 6.15 non troveranno nulla a sostegno di questa ipotesi, “nonostante la ricerca disperata di macchie di sangue che non ci sono”.

La pm smonta poi le obiezioni della difesa relativamente alla possibile causa del decesso: quella della excited delirium syndrome. “Si presume che ci sia stata questa sindrome da delirio da eccitazione – fa notare la Bambace-, ma nemmeno la scienza procede così: si parte dagli elementi che si hanno e solo dopo eventualmente si cerca di arrivare a un teorema, non il contrario”. Inoltre se Federico “si era fatto lasciare volontariamente lontano da casa per tornare a piedi, come secondo gli amici faceva normalmente quando tornava dalla discoteca e aveva bevuto o assunto droghe leggere (trovati tra l’altro in quantità minime), vuol dire che era lucido”. E proprio per questo, “per non dover dare spiegazioni ai genitori, non può accettare di essere portato in questura a passare la notte. Forse in quell’occasione possiamo pensare a una reazione”.

L’arringa mina poi la credibilità dei poliziotti. A partire dai danni subiti dall’auto di Alfa 3. “Le fotografie della scientifica, svolte su indicazione degli stessi imputati – sottolinea la pm -, non rilevano nessuna ammaccatura sul cofano compatibile con il balzo di cui si favoleggia che avrebbe fatto nel tentativo di colpirli. E un ragazzo alto 1 metro e 81 qualche traccia avrebbe lasciato”. “Si dice poi – continua – che l’ambulanza è stata chiesta contestualmente alla colluttazione. Non è vero. La telefonata al 118 fatta da Bulgarelli è successiva a quella di chiamata in ausilio ai carabinieri risale alle 6.04. Il 118 viene avvertito solo alle 6.10 e per di più i quattro nemmeno spiegano i motivi. Tanto che quando il centralinista del 118 chiede a Bulgarelli se serve un medico, si sentirà rispondere “non lo so, non so cosa sia successo”. Quindi questo allarme e questa premura tanto ventilata non c’era”.

E in quel momento il giovane Aldrovandi, “già aggredito con manganelli, si trova a terra, in posizione prona, con le manette dietro la schiena. Così lo vedranno i carabinieri al loro arrivo in via Ippodromo e lo stesso vale per i sanitari, che chiederanno di levargli le manette. Tutti diranno che il ragazzo non si muoveva più”.

C’è poi la testimonianza oculare di Anne Marie Tsegue, camerunense residente nella via, la cui attendibilità viene messa in dubbio dalla difesa che sostiene che cambiò più volte versione. “La Tsegue preferirebbe non essere coinvolta – rimarca l’accusa -, ne parla con il suo sacerdote e con l’avvocato e alla fine testimonia. Ho molta stima di questa donna che ha avuto il coraggio di farsi avanti, a differenza di molti suoi vicini, che pure hanno sentito la Segatto dire “attenti, ci sono delle luci accese”. La Tsegue vede inoltre i quattro manganelli, di cui due si rompono”.

C’è poi la famosa frase registrata di Pontani che al centralinista dice “lo abbiamo bastonato di brutto”. “Non importa a questo punto  – prosegue la pm – sottolineare che l’imputato aggiunge “per mezzora”: in lui c’è la consapevolezza dell’aggressione”.

Quindi, anche ammettendo l’ipotesi della sindrome, l’approccio dei poliziotti “doveva essere diverso: dovevano chiamare il personale medico e non farlo solo alle 6.08, quando l’aggressione e la riduzione all’impotenza erano già avvenute”. E sul corpo di Federico invece “troviamo tutte ferite compatibili con l’uso dei manganelli e con i calci che Pollastri, visto dalla teste muoversi avanti e indietro tra Federico disteso a terra e l’auto di pattuglia, gli avrebbe sferrato”.

Viene poi l’ammanettamento prolungato, sciolto solo dopo la richiesta degli operatori del 118. “Già cinque minuti prima i carabinieri diranno che il ragazzo non si muoveva – riflette il procuratore generale -. Eppure lo hanno mantenuto in quella posizione. Nonostante poco prima, come sentito dai testimoni, il ragazzo chiedeva aiuto. “Adesso ti aiutiamo noi”, fu la risposta della Segatto. Chiedeva aiuto a coloro che lo avevano aggredito, bloccato e mantenuto in una posizione che qualsiasi manuale di polizia sconsiglia se non per il tempo necessario al cessare della resistenza…”.

Infine l’ematoma del diametro di circa un centimetro nel ventricolo sinistro, in corrispondenza del fascio di His, con conseguente interruzione della trasmissione elettrica al cuore. “L’iter interpretativo di Thiene non dà spazio al consulente di parte Rapezzi, la foto del cuore evidenzia un punto nel fascio di His. Su questa macchia scura non c’è discussione. Cosa vuole dimostrare la difesa? che su miliardi di persone il solo Aldrovandi non aveva il fascio di His in quel punto? Anche se fosse intervenuta la sindrome da delirio eccitato, questa non comporta la morte. Lo ammette lo stesso Rapezzi”.

L’arringa si conclude con una domanda: “si può parlare con onestà intellettuale e dire che quattro persone che affrontano un soggetto inerme possono essere assolti?. Siamo di fronte alla differenza che deve intercorrere tra quattro adulti e un 18enne; la differenza è proprio nella maturità e gli imputati in questa circostanza non l’hanno dimostrata. Ma chi indossa la divisa è un rappresentante di un istituzione e deve avere un grado di attenzione anche maggiore rispetto al comune cittadino”.

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