Dispiaciuto e allo stesso tempo consapevole delle gravi conseguenze dovute alle proprie azioni. Così si è definito ieri (lunedì 22 settembre) mattina – davanti al giudice Giuseppe Palasciano del tribunale di Ferrara – il 48enne professore ferrarese finito a processo perché avrebbe approfittato del proprio ruolo di docente per adescare una giovanissima studentessa che frequentava una scuola secondaria di primo grado della provincia di Ferrara, dove l’uomo insegnava.
Il docente ha preso la parola durante l’udienza predibattimentale del processo che lo vede alla sbarra con l’accusa di adescamento di minore. Per lui il legale difensore ha chiesto la messa alla prova, accompagnando l’istanza con un’offerta di risarcimento pari a 4mila euro a favore della parte civile.
Una somma che però, al momento, non è stata ritenuta adeguata dalla controparte, che ha fatto opposizione alla richiesta.
Il giudice – al termine dell’udienza, svolta a porte chiuse – ha quindi concesso un ulteriore mese di tempo per poter riformulare una nuova proposta risarcitoria che possa essere considerata soddisfacente. Dopodiché il tribunale di Ferrara deciderà se concedere o meno la messa alla prova all’imputato.
“Ci siamo opposti alla richiesta di messa alla prova avanzata dall’imputato – spiega l’avvocato Simone Bianchi, che assiste la giovane, parte civile nel procedimento assieme alla madre – perché riteniamo che l’offerta risarcitoria avanzata questa mattina sia del tutto irricevibile. Ma ancor più dell’aspetto risarcitorio, abbiamo rimarcato quella che secondo noi è una mancata presa di coscienza da parte dell’imputato delle gravi conseguenze che le sue condotte hanno provocato non solo alla minore, ma anche a tutto il suo nucleo familiare. Ovviamente, questo aspetto, nel caso di ammissione alla messa alla prova, dovrà far parte integrante del programma di trattamento che verrà stilato. L’obbiettivo dei miei assistiti è evitare in tutti i modi che quello che è successo a loro possa capitare nuovamente ad altre famiglie“.
I fatti finiti sotto la lente della magistratura risalgono all’inizio dello scorso dicembre, dopo la denuncia della madre della ragazzina, che nel frattempo ha cambiato scuola.
Secondo il pm Augusto Borghini della Procura di Bologna, approfittando del proprio ruolo, l’uomo avrebbe indotto la ragazzina – che ha meno di 14 anni – a compiere atti di natura sessuale. E lo avrebbe fatto raccontandole – come recita il capo di imputazione – le proprie fantasie erotiche. Lo avrebbe fatto di persona e tramite uno fitto scambio di messaggi su Whatsapp. Oltre 10mila, secondo il consulente informatico della Procura che ha trovato anche tracce di telefonate e videochiamate tra i due, una delle quali di oltre un’ora e cinquanta minuti.
Un comportamento che, secondo la Procura di Bologna, avrebbe portato l’uomo a guadagnarsi la fiducia della vittima. Al punto tale che – secondo quella che è l’accusa – si sarebbe spinto anche a comportamenti morbosi, come baci e carezze, senza però sfociare in atti sessuali di nessun tipo. Così come, dalle consulenze informatiche eseguite su telefono, tablet e pc dell’insegnante, non sarebbero emersi file contenenti foto o video pedopornografici, né foto della ragazzina.
Il processo tornerà in aula il 20 ottobre.
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