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Adolescence, su Netflix, è la storia di un ragazzino di 13 anni che uccide a coltellate una sua coetanea.
Lei è una ragazzina in difficoltà, presa in giro, poco inserita. Lui anche. Forse è il comune disagio che lo induce a sperare l’impossibile: che lei trovi attraente un “Incel”. Jamie si definisce un “celibe involontario”, uno che nessuna donna troverà mai desiderabile.
Jamie ha 13 anni e ha già interiorizzato la donna come nemico; fonte di rifiuti e dolore. Ma Jamie vorrebbe una ragazza accanto, e osa proporsi.
Lei gli risponde “sono disperata ma non così tanto da stare con te”.
Lui la uccide.
Del resto era andato da lei con il coltello. Forse presagiva sia il rifiuto che la sua incapacità di reggerlo.
Forse ha creduto che uccidere avrebbe cancellato la sensazione di essere qualcosa che non vale proprio niente.
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Jamie è magro di un corpo senza muscoli. È glabro, ed è tanto più bimbo che uomo. La polizia lo va a prendere e lui si piscia addosso per la paura.
Non ho fatto niente, dice.
I genitori sono increduli.
Ma tu – davanti allo schermo – lo sei più di loro: tu non vuoi, non puoi, non riesci ad accettare che quel cucciolo di umano che non ha ancora la voce da uomo, possa aver accoltellato una ragazzina, tante e tante volte fino a ucciderla.
Ci dev’essere un errore.
Ma c’è il filmato. C’è sempre un filmato di questi tempi.
Nel filmato il – poco più che un bambino – uccide a coltellate la poco più che una bambina.
Quando il male si manifesta con i lineamenti delicati di un bambino, guardarlo negli occhi diventa insostenibile.
Il bambino assassino distrugge in un attimo tutti i muri che abbiamo eretto per arginare il male. Non facciamo altro che tentare di renderlo riconoscibile, il male, e quindi prevedibile, evitabile. Il bambino che uccide azzera ogni illusione di poter tenere il male lontano da noi.
Se il male può essere tuo figlio, se l’assassino ha il volto pulito di un ragazzino qualunque, chi potrà sentirsi al riparo? Cosa è questo mondo che mette in mano coltelli ai ragazzini?
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Non è mai un raptus. Il maschio uccide la femmina per ripristinare una gerarchia sociale.
L’oggetto del conflitto è la relazione sentimentale, e segnatamente la possibilità della donna di rifiutarla o interromperla, che il maschio non accetta.
In estrema sintesi: l’incapacità del maschio di stare in relazione con una femmina libera di rimanere o andarsene è il motivo di ogni femminicidio.
Uccidere è il cortocircuito di una mente che non ha strumenti per elaborare la frustrazione del rifiuto o dell’abbandono. Ma le risorse emotive non le vendono su Amazon. Sono il portato di una cultura che si trasmette e si solidifica nel tempo sino a diventare l’alveo condiviso di un modello di comportamento.
Il punto quindi non è solo l’incapacità di reggere la frustrazione, ma il rigurgito dell’idea che sia legittimo negare la libertà alla donna di decidere per sè.
Jamie è smarrito. Jamie non dispone di un modello maschile che possa funzionare in questa realtà. Il suo orizzonte archetipico è sospeso nel vuoto e lui non sa letteralmente cosa essere.
La relazione ambivalente con suo padre, a sua volta vittima irrisolta della violenza subita dal proprio padre, è lo specchio del travaglio di una cultura maschile che oscilla tra passato e futuro e non partorisce soluzioni.
Ma la soluzione può essere solo condivisa con l’altra metà del cielo.
Jamie è nostro e non lo abbandoniamo, dice sua sorella, di pochi anni più grande, in una frase che vale il film, a ribadire che l’unica risposta possibile al male è rimanere inclusivi, aperti, amorevoli.
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In Jamie si può riconoscere la dinamica della violenza di genere nella sua architettura di base, quando è ancora priva delle sovrastrutture psicologiche e sociali del mondo adulto.
La sua violenza sorge nel vuoto lasciato dal modello paterno non solo in ambito familiare – ma sociale – persino archetipico. Se il modo di essere maschi degli ultimi secoli oggi è ritenuto giustamente “tossico e violento”, quello nuovo è ancora tutto da scrivere.
In questa transizione epocale la fragilità e l’insicurezza diventano i tratti dominanti dei maschi, e l’aumento della violenza letale né il logico esito.
L’assassino di una donna è un maschio largamente insufficiente da ogni prospettiva relazionale.
Si può affermare che gli assassini delle donne hanno tutti 13 anni, anche se ne hanno 20, o 40 o 60.
Il dolore emotivo, il senso di impotenza; la disperazione che si fa furia assassina hanno il volto atterrito di un bambino anche se la mano è anagraficamente adulta.
In ognuno assassino c’è Jamie.
(Il che – ovviamente – non giustifica nulla e non significa che la violenza maschile non debba essere fermata e punita con ogni strumento – sia tratta invece di comprendere come contrastarla).
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Jamie proietta il senso di inadeguatezza fuori da se stesso. Sente di non valere niente. Viene schifato e deriso. Di fronte ad un sentimento di se stesso così “nientificante” da diventare insostenibile sceglie di rimuovere la causa immediata del dolore; la persona che glielo mette davanti.
Non comprende che l’altro è uno specchio in cui riflette se stesso, e distrugge lo specchio.
L’illusione di guarire la sua insufficienza non dura nemmeno un attimo; ma poiché il suo “se stesso” è così fragile da non poter reggere il peso della responsabilità, negherà i fatti e cercherà altri colpevoli fuori da sè.
Se sembra la condizione in cui si trova il mondo, è proprio così.
Jamie oggi comanda il mondo.
Oltre che nella mente del singolo, la proiezione del male che colpisce l’altro da sé come capro espiatorio della propria insufficienza, è tornata padrona incontrastata della psiche collettiva.
Interi popoli hanno scelto di lenire il loro disagio nell’individuazione di categorie di “colpevoli” da punire, imprigionare, sopprimere.
Sta succedendo a ogni latitudine, con poche eccezioni.
Accade perché la psiche individuale e quella collettiva sono in rapporto dialettico, si co-creano e influenzano.
In questo senso, Jamie è “nostro” più che mai.
É nostro ogni volta che vediamo nell’altro un nemico per il solo fatto che non è, non fa, quello che noi vogliamo.
Jamie è nostro perché distrugge l’illusione che esista un confine che il male non potrà valicare.
Il male è dentro noi, e cresce ogni volta che invece di accoglierlo cerchiamo un colpevole da colpire fuori di noi. Proprio come ha fatto il “nostro Jamie”.