La capra sulla rupe
12 Luglio 2024

La domanda sbagliata

(Foto di "Facade of Spheres". Made in Blender 4.1.1, Cycles. @alexshuperart su Unsplash)
di Alessandro Chiarelli | 2 min

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Il sottosegretario Del Mastro che al giuramento della polizia penitenziaria grida ai plotoni ordinati; “Chi sono i migliori?”, e loro, con una sola voce; “Noi! Noi! Noi!”.

Il nuovo che avanza.

Nella polizia, l’ho sperimentato personalmente, c’è questo eterno bisogno di sentirsi i migliori, i più furbi, i più sgamati di tutti. Non è concepibile sentirsi come gli altri. Forse anche perché gli altri di solito non ti accolgono come uno di loro, e lo sai anche troppo bene.

Allora se non te lo dicono gli altri, se ti ritrovi solo con te stesso, rimani solo tu a dirti che vali qualcosa, e perché mirare basso? Sei il migliore.

Ricordo che il capo della polizia, ad un congresso a cui partecipavo, disse che eravamo la migliore polizia del mondo; ovazione.

Un’affermazione completamente priva di senso.

Buttai gli occhi al cielo. Poveri noi, pensai, se abbiamo bisogno di questo.

Ma di questo le polizie hanno bisogno.

Probabilmente perché serve a tenere in piedi la baracca della motivazione di operatori sempre più spazzini sociali e sempre meno “polizia tra la gente”, come si diceva ai miei tempi.

Le polizie non riescono a togliersi di dosso il cappotto di stoffa ruvida di pasoliniana memoria, quello che puzza di rancio, fureria e popolo.

Il securitarismo sembra aver aggravato la condizione sociale e psicologica degli operatori, ormai focalizzati sulla repressione pura, e li rende sempre più separati dal mondo.

Del resto, sempre per stare su Pasolini, recuperare l’amicizia col mondo è impossibile, se il mondo non ti ama, e forse è questo dolore originario a rendere la polizia così simile agli emarginati con cui ingaggia battaglia nelle discariche sociali.

Come loro, diventa patetica, fragile e insicura al punto che deve dirsi da sola che è la migliore del mondo, fingendo di crederci.

La salvezza da questo cul de sac può arrivare solo dalla dolorosa presa di coscienza che questa professione non riesce a uscire dal ghetto in cui è rinchiusa dai tempi della rivoluzione industriale, quando è nata.

Se il sottosegretario avesse chiesto:

“Chi svolge la professione con il più alto rischio suicidario in Italia? Chi ha percentuali statistiche di suicidi oltre il doppio della popolazione?

Ecco, quei ragazzi in uniforme potevano rispondere legittimamente; Noi! Noi! Noi!

Da lì puoi ripartire.

Ma ai migliori che gli vuoi insegnare?

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