Andava nei locali arabi di viale Certosa a fumare il narghilè, frequentava la discoteca di un egiziano a Cologno Monzese e aveva rapporti sessuali con prostitute di nazionalità marocchina. Ecco la Milano di Igor il Russo, il serial killer che nel 2017 uccise cinque persone tra Ferrara, Bologna e la Spagna, ricostruita dall’edizione milanese del Corriere della Sera attraverso le carte investigative, i racconti di chi ci divise la cella e le testimonianze di fonti vicine agli inquirenti.
Prima di uccidere, Norbert Feher – questa la sua reale identità – era infatti ospite fisso del capoluogo lombardo, come emerge dai retroscena pubblicati sulle pagine del quotidiano di via Solferino.
“Lui era fissato con noi marocchine. Di solito gli incontri avvenivano nei bar di corso Buenos Aires, mi ricordo anche ai tavolini all’aperto di uno che c’era in piazza Argentina, e di altri tra piazzale Loreto e l’inizio di viale Monza. Offriva da bere, ma subito iniziava a tirare sul prezzo oppure chiamava degli amici che avevano contatti negli hotel a una e due stelle per avere camere gratis… Chi c’è andata ricorda di uno tranquillo, parlava poco” racconta una escort di nazionalità marocchina, rintracciata dal Corriere.
I rapporti di Feher con il Marocco – scrive il CorSera – riguardavano anche l’asse della droga con le bande nordafricane, come confermato da una fonte dei carabinieri. “Si guadagnava da vivere facendo il corriere tra Gibilterra, Valencia e Barcellona” e a Milano, come riferito dagli stessi carabinieri, in passato il serial killer “aveva avuto appuntamenti con marocchini nella zona di San Siro e di viale Certosa“. A San Siro – fa sapere ancora il quotidiano – era solito pernottare in un hotel rimasto sconosciuto, mentre in viale Certosa il serial killer sostava “in bar di arabi per fumare il narghilè” come succedeva in corso Buenos Aires.
È lì, in corso Buenos Aires, che Feher avrebbe agganciato anche albanesi e serbi per questioni legate sempre al mercato degli stupefacenti.
Attualmente, Feher, 43 anni, nato a Subotica, in Serbia, è condannato all’ergastolo nel carcere di Huelva, in Andalusia, dove sta scontando la pena per la lunga scia di sangue lasciata dietro di sé tra l’aprile e il dicembre 2017, quando ammazzò cinque persone. Due in Italia, il barista 52enne Davide Fabbri a Riccardina di Budrio, nel Bolognese, e la guardia ecologica volontaria 63enne Valerio Verri a Portomaggiore, dove rimase ferito anche il collega 53enne Marco Ravaglia, e tre in Spagna, un pastore e due agenti della Guardia Civil.
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