Goro. L’omicidio di Willy Branchi potrebbe trovare una svolta clamorosa nelle indagini. Gli inquirenti stanno da tempo trovando riscontri a una nuova pista investigativa tracciata da una lettera anonima.
Una busta senza mittente inviata Luca, il fratello del diciottenne massacrato 35 anni fa il cui corpo nudo e seviziato venne ritrovato lungo la riva del Po di Goro la mattina del 29 settembre 1988.
Il pm che coordina le indagini, Andrea Maggioni, ha capito che dietro quella mano c’è una persona che sa esattamente come si sono svolti i fatti, che conosce chi ha ucciso il ragazzo e infierito sul suo corpo.
Ma manca ancora “un tassello”, come scrivono in un appello Carabinieri e Procura: “un tassello che solo chi sa come sono andati i fatti quella notte, come l’autore dell’anonimo, può fornire agli inquirenti e far emergere la verità su questo brutale assassinio, che da trentacinque anni affligge i familiari del povero Willy e tutta la comunità di Goro”.
Il cold case di Willy Branchi era stato archiviato una prima volta nel 1990. Al tempo i sospetti erano caduti su Valeriano Forzati, che nel 1989 compì la strage nel night “Laguna Blu” di Mesola. Forzati era stato notato con Willy la sera prima dell’omicidio, ma il killer legato alla Mala del Brenta venne prosciolto.
Le indagini vennero riaperte nel 2014 per terminare con una richiesta di archiviazione, alla quale si oppose la famiglia, assistita dall’avvocato Simone Bianchi. Alla fine del 2017 il gip accoglie la richiesta e dispone nuove indagini. Da allora i Carabinieri del Comando Provinciale di Ferrara si sono adoperati in un corposo lavoro investigativo, non limitandosi a seguire la pista investigativa indicata nell’ordinanza che ha disposto la riapertura del caso.
Sono state raccolte le dichiarazioni di 229 persone, vincendo, con non poche difficoltà, la cappa di omertà che, sin dall’inizio, ha avvolto questa inchiesta che ha portato a ipotizzare che Willy fosse finito vittima di un giro di pedofilia. Dal 2018 ad oggi si contano 205000 conversazioni intercettate, pari a 11300 ore di ascolto, grazie alle quali è stato possibile accertare la non genuinità delle dichiarazioni rese da otto persone, iscritte sul registro degli indagati con le ipotesi di reato di false informazioni al Pubblico Ministero e, nel caso più grave, di calunnia (per l’ex parroco di Goro don Tiziano Bruscagin, poi assolto in appello).
“Con l’intento di ricostruire uno spaccato della realtà gorese della seconda metà degli anni ‘80 – scrivono Procura e Arma -, sono stati riesaminati tutti gli eventi che hanno caratterizzato quell’epoca, focalizzando l’attenzione, in particolare, sulle dinamiche dei fenomeni delinquenziali e sulle loro possibili connessioni con l’efferato assassinio di Willy”.
Da ultimo, “l’impegno maggiore è stato rivolto al riscontro del contenuto di uno scritto anonimo, inviato, nel 2015 (poco dopo la riapertura delle indagini), al fratello di Willy, Luca, che ha fornito agli inquirenti una nuova, importantissima, pista investigativa”.
Attesa la limitata utilizzabilità procedurale della missiva anonima, la prima parte delle investigazioni condotte al riguardo “è stata finalizzata all’individuazione dell’autore della stessa che, tuttavia, pur con, davvero, tutti gli sforzi profusi, non è stato possibile identificare”.
I successivi impegni investigativi sono stati dedicati, dunque, al puntuale accertamento delle indicazioni provenienti dal contenuto della lettera che si è dimostrata essere “una vera fonte di informazioni, tutte dettagliatamente riscontrate”.
Nonostante quanto fatto, manca ancora quel famoso tassello per chiudere il cerchio. Ed ecco allora l’appello degli inquirenti affinché chi scrisse quella lettera si faccia avanti. Solo l’autore dell’anonimo potrà fornire agli inquirenti gli elementi ancora latenti e aiutare a rendere giustizia a un ragazzino di 18 anni, la cui memoria aspetta da oltre 35 anni questo momento.
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