Come imparare l’inglese più velocemente
È la lingua degli affari, del turismo e ovviamente quella dell’informatica: l’inglese domina le richieste professionali, di studio e spesso persino quelle del tempo libero
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di Edoardo Righini
In tanti hanno già parlato di come la guerra in Ucraina sia la prima guerra in territorio europeo ad essere raccontata anche attraverso i social network.
Niente di sorprendente, a ben vedere.
Da tempo, infatti, i social network sono diventi strumento di informazione a tutti gli effetti, anche perché hanno tutte le caratteristiche adatte per incontrare il nuovo gusto delle persone: sono per lo più visivi, facilmente accessibili e necessariamente sintetici.
Da Conte che emanava DPCM in diretta Facebook al presidente ucraino Zelensky che parla al resto del mondo attraverso instagram, i social sono spesso il luogo dove la notizia accade o comunque diventa accessibile ai più.
C’è tuttavia una tendenza interessante che riguarda un altro mezzo di informazione, meno immediato ma che sta diventando sempre più rilevante: il podcast.
Anche le preferenze generali degli ascoltatori sono cambiate rapidamente in questo periodo e sembrano prendere la forma che ha il conflitto ucraino.
Basandosi sulla classifica mobile di Spotify, si nota che nella top five dei podcast più ascoltati in Italia, da diverso tempo ci sono stabilmente almeno 2 o 3 format che parlano di Ucraina e d’intorni.
E ognuno di questi fotografa un elemento diverso e rilevante del conflitto.
C’è Stories, di Cecilia Sala, giornalista, che racconta in presa diretta l’evolversi giorno dopo giorno della vita delle persone ucraine che provano a resistere e a sopravvivere all’occupazione russa.
C’è Nella mente di Putin, di Enrico Franceschini, che invece si propone di affrontare il tema partendo da un ritratto del presidente russo, per capire il suo atteggiamento, il suo modo di pensare e la sua visione sul “tavolo di gioco” internazionale.
Poi ci sono i podcast di Micromega, che invece hanno un taglio più ampio, spesso legato alla politologia internazionale, mostrando la complessità tridimensionale del conflitto.
Questi sono solo alcuni esempio, ma l’elenco potrebbe continuare e ogni volta il punto di partenza e la prospettiva di osservazione è diversa.
E proprio qui sta la forza di questo “nuovo” canale: la possibilità di moltiplicare le voci, arricchendo così la visione d’insieme.
Ma soprattutto la possibilità di ascoltare una voce per volta, fino alla fine. Non è un caso che i più giovani preferiscano proprio questi canali per informarsi piuttosto che i media tradizionali come la televisione, in cui spesso le conversazioni e i dibattiti risultano confusionari e incompleti.
Tra l’altro, l’efficacia del canale deriva anche e soprattutto dall’ascolto: non essendo distratti dal video, gli ascoltatori ricordano molto di più quello che sentono di quello che vedono o ancora di più di quello che leggono.
A questo si aggiunga la forza empatica della voce, che è in grado di sottolineare degli aspetti che spesso nelle narrazioni sincopate della televisione o dei social vengono irrimediabilmente perduti.
Per tutte queste ragioni, non è un caso che il podcast sia un format in costante ascesa e stiano nascendo delle vere e proprie accademie per imparare a raccontare a voce ciò che merita di essere sentito da tutti.
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