Eventi e cultura
12 Ottobre 2020
L’antologia curata dal critico ferrarese presentata alla libreria Libraccio

Matteo Bianchi e la poesia della quarantena

di Redazione | 3 min

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«Noi siamo la lingua italiana, noi siamo il futuro della nostra lingua». Sono state le parole di Alessandro Agostinelli, il poeta e giornalista che insieme a Matteo Bianchi, sabato mattina, ha aperto la presentazione del volume Dal sottovuoto. Poesie assetate d’aria (Samuele Editore).

Sotto il portico della libreria Libraccio il critico ferrarese ha invitato a leggere alcuni autori dell’antologia da lui curata, i quali hanno recitato i loro versi come fossero «testimonianze di una ferita ancora irrisolta». Alberto Bertoni, Fabrizio Lombardo e Stella N’Djoku si sono misurati con la lingua italiana nel frangente tanto oppressivo quanto straordinario della quarantena e hanno messo nelle mani dei lettori la loro esperienza individuale. Un’esperienza che si è fatta dialogo e poi voce corale, tra regole estranianti, procedure asettiche di sanificazione e mesi di distanza l’uno dall’altro.

«Dal sottovuoto è scaturito da un incontro fortuito tra me e Matteo – ha precisato l’editore Alessandro Canzian – per dare origine e motivo a nuovi incontri tramite la parola poetica, diventando un terreno di confronto quotidiano durante le settimane più dure e dimostrandosi più fervido e incoraggiante del previsto». Dal volume, infatti, si è generato un percorso a ritroso, mirato alle nostre radici linguistiche, ma con prospettive future convincenti e doverose, proprio grazie alla costanza di Agostinelli. Il salto di regime sociale della scorsa primavera con l’impedimento a uscire di casa se non per attività necessarie, ha concesso allo scrittore toscano più tempo per la scrittura, il quale ha ripreso alcuni testi della nostra tradizione.

«Ho scelto alcuni sonetti celebri di Cecco, Cavalcanti, Petrarca e altri fino a Gozzano e mi sono impegnato a riscriverli, rispettando il tono originario e la forma stilistica, ma cambiando l’argomento. Ho parlato di coronavirus perché è un tema con cui dovremo ancora fare i conti». Agostinelli, accompagnato passo passo dal docente Alberto Casadei, ha raccolto ne L’ospite perfetta dei veri e propri canti, motivati da una passione radicale per la lingua e per le sue potenzialità espressive.

«Sono partito da Petrarca perché durante le prime settimane del lockdown mi rimbalzava in testa Solo et pensoso… d’altronde, quando uscivo ero solo e le restrizioni mi occupavano la mente. Le strade erano diventate i suoi deserti campi, dove non c’era nessuno. Da quel momento ho cominciato a ragionare sul riscrivere dei sonetti a riguardo». Poi è arrivato Cecco Angiolieri e il suo fuoco di rivalsa. Ma il lavoro di Agostinelli è l’esatto contrario della poesia di occasione: «Non è una poesia di protesta, bensì un’azione di rottura per tentare di infrangere un luogo comune, ossia che con il versolibero sia tutto permesso». Niente affatto, scrivere in versi nel corso del Novecento si è dimostrato sempre più difficile e alla ricerca di un ritmo sempre meno legittimo.

«Non è un gesto per tornare alla tradizione assoluta – ha concluso Agostinelli – ma per non dimenticare il nostro passato, né per darlo per scontato. La poesia non può essere in balia del contingente, tanto meno dell’emozione. Deve prendere le distanze, appunto, per metterla a fuoco».

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