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10 Gennaio 2020

I rimórs dòp n’abufàda par Nadàl

di Redazione | 4 min

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Un altro ‘cantautore’ ferrarese. Certo non è l’inarrivabile Alfio Finetti. Si tratta di Romano Mingozzi che merita un posto nella vetrina dei personaggi che gravitano attorno al dialetto ferrarese. Attore soprattutto dialettale, per anni colonna degli “Scapadìz”, storica compagnia di Masi San Giacomo. Personaggio colto, ma riservato: suona pure il pianoforte.

Non è stato facile intervistarlo. Parla volentieri solo della sua grande passione per la montagna, forse dovuta anche dal fatto che lui “lavorava per le funivie”, in Italia e all’estero. Non sono riuscito a saperne di più. Oggi vive nella sua bella casa di Masi San Giacomo, assieme alla moglie, la dolce signora Giuliana. Oggi non recita quasi più, per motivi di salute e d’età: ha più di ottantacinque anni. Caratterista, ma non solo, dotato di tempi comici eccezionali.

Lo incontrai in una delle sue, ormai rare, apparizioni teatrali, nell’ambito dell’“Utóbar Fèst”, che si tenne a Masi San Giacomo. Ero stato invitato con Roberto Gamberoni a partecipare alla serata, voluta anche da Sandro Mingozzi, per conto del cenacolo dialettale “Al Tréb dal Tridèl”. Noi come “I Ragazìt da ‘na volta”. Romano cantò una sua canzone, molto simpatica, in dialetto.

Grazie alla mediazione di Sandro Mingozzi e all’aiuto tecnico di Roberto Gamberoni, siamo riusciti a registrarla. Non è perfetta in quanto abbiamo voluto lasciare il filmato, così come l’aveva recitato e cantato, senza chiedergli altre prove. Noterete certamente la sua spontaneità e pure qualche piccolissima imperfezione, proprio come succede, a volte dal vivo, sul palcoscenico. Buon ascolto e lettura.

(PRESENTAZIONE PARLATA DELL’AUTORE).Questa l’è ‘na canzón ché a j’ò fàt mì mi in fraréś e l’as ciàma: “I rimórs dòp n’abufàda”. La tràta ad du argumént : al rapòrt ché a gh’avén nuàltar vèć con la sanità e al rapòrt che èn sémpar avù col nòstar magnàr fraréś ch’l’è sémpar stà un po’ bśòt èco e la tràta ad stì dù argomént chì; adès a vlà vàgh a cantàr.

” I RIMÒRS DÒP N’ABUFÀDA”.
(o“I rimòrs dòp Nadàl” ).

In stà matina, am són śmisià
con un mal ad tèsta, con un mal ad tèsta da sgrazià.
L’è tuta cólpa, dal mié tuliér
che a’jer sira a g’aven taià su un salam intiér
e adès l’è chi: l’àn va nè su, né zó
e par mezdì a gò un bel piat ad mnèstra da faśó,
tànt ormai l’ha frità l’è fàta
dòp la mnèstra am màgn un murlìn ad sanziza mata,
mié mujér, l’ha n’à un bel dir
che a fàg fadiga , a fag fadiga a digerìr,
par forza a taula a són com’è un struz
a mànd zó, a mànd zó anch i pardùz
spèrén che al Sgnór l’àm dàga un póch ad salùt
e che a pósa magnàr sémpar un póch ad tut
parché la mié paura l’è che i’am ricòvra a l’uśdàl
che sól a pénsaragh, che sól a pénsaragh a stagh màl.
< Parché stàt mal?… parché a stag mal! >
Parchè a una zerta età, che at sii om o dòna
it spèdis subit via da l’uśdàl ad Cona.
It parchégia a la Salus o al Quisisàna
e lì l’è fàzil che t’agh làsi la gabàna,
e po’ quand t’agh dì che at gà più d’ utant’an
it liga subit a lèt com’è un salàm
e pó tra flebo e tranquilant
dòp póch dì t’a t’la fa in ti mudànt
e pó se at càpìt in t’ill màn śbaglià
ti da l’uśdàl… t’an vién più a cà!

(PRESENTAZIONE PARLATA DELL’AUTORE). Questa è una canzone che ho scritto io in ferrarese, è intitolata “I rimòrs dop un’abufàda”. Parla di due situazioni: il rapporto che abbiamo noi vecchi con la sanità e considerazioni che abbiamo con il nostro modo di cibarci in ferrarese, che è stato sempre pesante. Tratta di due argomenti ed ora ve la vado a cantare.

“I RIMORSI DOPO UN’ABBUFFATA“
(o“I RIMORSI DOPO NATALE” “).
Questa mattina , mi sono svegliato/Con un mal di testa, con un al di testa da disgraziato./E’ tutta colpa del mio tagliere/che ieri sera gli abbiamo tagliato sopra un salame intero/e adesso è qui che non va su e non va giù/ e a mezzogiorno ho un bel piatto di minestra di fagioli,/tanto oramai la frittata è fatta,/dopo la minestra mi mangio anche la salsiccia matta./Mia moglie ha un bel dire/che faccio fatica, faccio fatica a digerire,/per forza a tavola sono come uno struzzo/e mando giù, mando giù anche pietrisco,/speriamo che il Signore mi dia un poco di salute/e che possa mangiare un poco di tutto/perché la mia paura è che mi debbano ricoverare all’ospedale/che solo a pensarci sto male/“Perché stai male?…/Perché sto male!”/Perché ad una certa età che tu sia uomo o sia donna/ti spediscono subito via dall’ospedale di Cona/ti parcheggiano alla Salus o al Quisisana/e lì è facile che gli lasci la “gabbana”./E poi quando gli dici che hai più di ottant’anni /ti legano subito come un salame/ e poi tra flebo e tranquillanti/ dopo pochi giorni te la fai nelle mutande/ se poi capiti nelle mani sbagliate/ tu dall’ospedale … non torni più a casa!

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