Attualità
15 Ottobre 2019
Successo per il primo dei cinque incontri promossi dal Dipartimento di Studi Umanistici di Unife

Dalla Polonia a Ferrara per parlare la lingua della Shoah

di Redazione | 2 min

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Un filo invisibile ha unito Ferrara e la Polonia dell’Olocausto: anzi, “indicibile”, come suggerisce il titolo dei cinque incontri organizzati dal Dipartimento di Studi Umanistici di Unife, che si propongono di raccontare, per l’appunto, ‘L’ (in)dicibilità del Male’.

Il problema è quale lingua usare per farlo, come riflette la docente Isabella Mattazzi, che pone ad esempio lo stesso campo di Auschwitz, come luogo “dal triplice linguaggio”: è infatti oggi un museo, ma allo stesso tempo un cimitero, e quindi un memoriale, dove le persone si raccolgono per pregare e commemorare i propri defunti, e infine un luogo didattico, dove poter trasmettere quella che il direttore Paolo Tanganelli definisce “la terza missione”, ossia fornire gli strumenti per porsi gli interrogativi giusti su cui riflettere e con cui guardare il mondo che ci sta intorno.

Una testimonianza diretta l’ha data Grzegor Karol Russek, ospite del primo incontro che lunedì è riuscito quasi a riempire l’intera aula A1 della succursale di via Adelardi, che all’interno del centro culturale di Cracovia, si occupa della ‘formazione’ di giovani ragazzi tedeschi, dai 16 ai 20 anni, alla visita del campo di concentramento.

“Ogni anno ospitiamo circa 5.500 ragazzi – illustra – che rispetto ai 2 miloni di visitatori di ogni provenienza che vengono a visitareil museo, sono sicuramente un’elite, selezionata consapevolmente dai docenti”. Del resto la loro nazionalità “non è neutra”fa notare Mattazzi, , e in alcuni casi “qualche ragazzo ha avuto un nonno che ha lavorato al campo come SS: un fatto che ha portato gli studenti stessi a volerne sapere di più sulle proprie origini”. Tant’è vero che la visita, per loro, si traduce in un vero e proprio soggiorno, di 5 o 6 giorni in loco, con la possibilità di incontrare anche gli ex prigionieri sopravvissuti (6 in particolare, che collaborano col centro), da alcuni ragazzi definita “l’high light del loro percorso” e da altri “il momento più significativo della propria vita”.

Intrecciare didattica, storia e fruibilità è un “continuo lavoro” da cui anche Ferrara non si esime, come fa notare l’assessore Alessandro Balboni, presente all’incontro patrocinato dal Comune e dal Meis, in una città “che respira cultura, e dove quella ebraica ha in particolare scritto parecchie pagine della nostra storia”.

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