Attualità
7 Agosto 2019
A fine anno scadranno i contratti dei 500 impiegati che hanno lavorato per oltre cinque anni negli uffici pubblici. Ma per loro non esiste forma di stabilizzazione

Lo strano limbo dei ‘precari della ricostruzione’: come impiegati pubblici, ma senza tutele

di Ruggero Veronese | 3 min

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Per più di cinque anni si sono occupati di restituire qualche certezza a chi col terremoto del maggio 2012 aveva perso la casa, il negozio o il posto di lavoro. Ma adesso che l’emergenza è finita e la ricostruzione procede sulle proprie gambe, a tremare sono i dipendenti assunti dal commissario per la ricostruzione e impegnati nelle prefetture e negli enti locali del cratere dell’Emilia Romagna nelle procedure che riguardano le pratiche post-sisma. Perché dopo più di cinque anni di lavoro a pieno ritmo a livello burocratico e amministrativo, per i circa 500 impiegati in tutta la regione assunti con contratti di somministrazione lavoro si avvicina sempre di più la fatidica scadenza degli accordi, rinnovati per l’ultima volta lo scorso giugno fino alla fine dell’anno. E quando scadranno, oltre alla perdita dei posti di lavoro, andrà disperso anche il patrimonio di professionalità e competenze che in questi anni è stato formato e ha accumulato esperienza negli uffici pubblici.

Una questione che negli ultimi mesi ha messo in moto anche i sindacati Nidal Cgil e Felsa Cisl, che in giugno hanno manifestato anche nel giugno scorso a Bologna per chiedere la stabilizzazione dei contratti o un riserva nei concorsi. Ma ancora una volta i rinnovi sono stati a tempo determinato: sei mesi, con scadenza al 31 dicembre di quest’anno.

Gli impiegati che in questi anni hanno lavorato alle pratiche per la ricostruzione pagano il fatto di essere finiti loro malgrado in una sorta di ‘limbo’ amministrativo: non sono dipendenti diretti di un’amministrazione pubblica e quindi non possono usufruire delle forme di stabilizzazione tra enti pubblici previste dalla riforma Madia, che consentirebbe loro di essere assunti a tempo indeterminato da un ente pubblico. Il paradosso dietro tutto questo è che si tratta di lavoratori che per sette anni si sono districati nel labirinto delle procedure pubbliche che legano comuni, regioni, ministeri, prefetture e uffici pubblici e privati: insomma, se la legge Madia era pensata per non disperdere il patrimonio di professionalità e competenza degli enti pubblici, verrebbe da prendere subito in considerazione gli impiegati che si sono occupati della ricostruzione. Che tuttavia dopo aver sbrogliato la matassa per migliaia di terremotati, rischiano di trovarsi senza alcuna tutela una volta adempiuta alla propria funzione. Un problema particolarmente sentito per quella parte di lavoratori in servizio all’interno delle prefetture, che non possono nemmeno contare su un’eventuale valutazione positiva dello stesso ufficio territoriale del governo, dal momento che si tratta di uffici che fanno riferimento al Ministero dell’Interno a Roma, contrariamente a quanto accade negli enti locali dove i contatti personali sono più diretti e meno mediati.

“Vorremmo che il ministero dell’Interno ci desse risposte certe sul nostro futuro – raccontano a Estense.com alcuni lavoratori e lavoratrici ferraresi, impegnati in questi anni nelle procedure per la ricostruzione -. In questi anni abbiamo frequentato corsi e ci siamo addentrati molto nelle procedure, le normative e le prassi degli uffici pubblici: disperdere tutto questo patrimonio di professionalità dopo sette anni di impegno sarebbe uno spreco per lo Stato, oltre che ovviamente un duro colpo per noi. Una possibile soluzione? Equiparare noi, assunti tramite contratti di somministrazione dal commissario alla ricostruzione, ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche, in modo da poter usufruire della stabilizzazione prevista dalla legge Madia, o quantomeno l’applicazione della riserva nei concorsi prevista dalla legge di stabilità 2019”. Un appello che i lavoratori sperano venga raccolto subito, senza aspettare nuovamente l’imminente scadenza dei contratti: del resto, dopo oltre cinque anni di precariato, è lecito chiedere qualche risposta certa.

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