Eventi e cultura
14 Ottobre 2018
Lo psicologo Luca Berti: “L’educazione digitale non serve a formare piccoli informatici, ma umani migliori”

Giovani e social, rischi e consigli sulla “responsabilità del click”

Luca Berti
di Redazione | 3 min

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Luca Berti

Luca Berti

di Cecilia Gallotta

“Com’è andata la tua giornata digitale?”. Può sembrare una battuta da film di fantascienza, uno di quelli anni Ottanta che ha formato le generazioni dei genitori di oggi, e che ha dato vita a termini come ‘navigare’, estraniando la dimensione del web a una sorta di cyberspazio lontano dalla realtà.

Ebbene oggi questa dimensione parallela “si è unita alla realtà, forgiandone una nuova, assieme a una nuova società e una nuova quotidianità”, come afferma lo psicologo ed educatore Luca Berti, tracciando il disegno della rivoluzione digitale della nostra epoca e mettendosi a disposizione dei genitori che si trovano disorientati all’educazione dei propri figli in una dimensione il più delle volte sconosciuta, quella che ruota attorno alla “responsabilità del click”.

L’incontro di sabato mattina, tenutosi presso la biblioteca Bassani, è il secondo di un ciclo mirato alla prevenzione (il terzo e ultimo sarà il 10 novembre, alle 10.30, sempre presso la biblioteca Bassani): “I social di oggi non sono quelli che ci saranno fra sei mesi: se fino a ieri si usava solo Facebook, oggi è nato Snapchat, e domani ci sarà qualcos’altro ancora”, riporta Berti, analizzando quindi le principali caratteristiche trasversali ad ogni social.

Prima di tutto i contenuti, che portano i ragazzi di oggi ad essere i cosiddetti ‘prosumers’, ossia produttori e consumatori al tempo stesso: il che porta inevitabilmente ad un’assunzione di responsabilità e di competenze che va oltre quelle realmente possedute. In seconda istanza, “i social dettano le relazioni”: esistano diversi social per il tipo di relazione, si pensi a Linkedin per il profilo lavorativo, piuttosto che Whatsapp per la cerchia ristretta di persone che realmente si conoscono, Tinder per gli incontri sentimentali, e così via.

Ecco che dai contenuti può nascere il bullismo, o la violenza digitale, dalle relazioni può nascere l’adescamento, il furto degli account, e l’abuso dei social può portare a manifestazioni compulsive, come quella dell’acquisto.
Qualche ‘accorgimento digitale’ esiste e può essere utile, come il parental control, illustra Berti, e tutte le applicazioni che filtrano i contenuti, “ma soprattutto è fondamentale parlarne. Inserire la nuova realtà digitale come argomento della cena, da affrontare insieme, perché cosa è successo al proprio figlio sui social non appartiene ad un cyberspazio inaccessibile agli adulti, ma ad una realtà che sta a noi condividere con loro”.

Simpatico a questo proposito l’esempio di Kaspersky, l’antivirus che rileva la complessità delle password, e quindi il rischio che un hacker possa smascherarla: “Si può giocare coi ragazzi allo ‘scarabeo digitale’, che consiste nel trovare una parola che possa essere familiare e ricordabile, ma che sia anche sufficientemente complessa. In questo modo non solo si condivide una stessa realtà, ma si pongono le basi per una presa di coscienza del rischio e della complessità del web”.

Infondo, “l’educazione digitale non serve a diventare dei piccoli informatici – conclude il relatore – ma degli umani migliori in un mondo digitale”.

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