Attualità
7 Luglio 2018
Agli Emergency Days le "Storie di immigrazione" con focus sugli sbarchi e sugli esempi di integrazione

“L’Italia sconta il problema di non avere una legge sull’immigrazione”

di Redazione | 4 min

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Un giro di Italia delle esperienza positive di accoglienza e un video girato da Baba, un giovane ragazzo gambiano richiedente asilo a Bologna, che si diletta in uno scambio culinario tra il piatto tradizionale del paese africano, il Domodá, e i tortellini bolognesi. È questo quello che propone la quarta giornata degli Emergency Days nell’incontro ‘Storie di immigrazione’.

Ad aprire il dibattito è il presidente di Coop K Pax di Breno Carlo Cominelli che esamina la situazione legislativa attuale: “Noi oggi scontiamo il solito problema: non abbiamo una legge sull’immigrazione e questo ha banalizzato la richiesta di asilo. Non abbiamo un sistema legale diverso dalla richiesta di asilo per entrare in Italia. Il ministro Salvini come prima idea ha dato la stretta alla protezione umanitaria, che invece è un ottimo strumento, grazie al quale è stata regolarizzata la posizione di tante persone e ha fermato una emergenza: speriamo sia solo una boutade”. Secondo Cominelli “è importante capire anche le ragioni di chi ha la bava alla bocca, noi buonisti siamo caduti nella trappola della paranoia. Quello che viene percepito è il costo della accoglienza, i famosi 35 euro: il diverso viene considerato un costo e si ritiene di avere un welfare insufficiente anche per gli italiani. Bisognerebbe però vedere dove va a finire davvero quel welfare che sembra più proiettato a garantire vecchi privilegi”.

“Gli sbarchi in Italia oggi sono una cosa ridicola, anche se la percezione rimane alta, e sappiamo che per fermare i flussi il nostro governo ha messo in piedi dei campi di concentramento in Libia” tuona il presidente della cooperativa che dal 2007 gestisce il progetto Sprar Breno-Vallecamonica, ribadendo che “in Italia non si può entrare per fare pressoché nulla, sono stati bloccati perfino i visti turistici. Oggi la migrazione esiste nella pratica ma non legislativamente e c’è un buco sulla questione della richiesta di asilo perché ormai tutto quello che si muove tocca il diritto di asilo. Va ripresa la politica dei visti, degli ingressi legali e la rotta libica va chiusa e non lo farà di certo Salvini”. Ma non solo: “Da inizio anno abbiamo avuto l’88% in meno di arrivi e spostare 200 persone su una barca è solo una sceneggiata. Ricordo che già Minniti aveva bloccato le ong per cui la manovra di Salvini è solo per cercare consenso. Togliere le spese di accoglienza è facile se arrivano un centesimo delle persone rispetto a prima”.

Presenta invece il video di Baba, intento a cucinare assieme a due signori bolognesi, Michele Cattani (cooperativa sociale Arca di Noè di Bologna): “Abbiamo deciso di girare questo video partecipato con i richiedenti asilo dietro la telecamera perché si tende a parlare di categorie senza mai interpellarle o conoscerle. Oggi siamo di fronte a due filoni: uno xenofobo e uno che accetta i migranti in modo quasi compassionevole”.

La parola passa quindi alla responsabile comunicazione del Cild Antonella Napolitano che approfondisce i risultati di uno studio svolto da alcune università irlandesi ed inglesi sul fenomeno migratorio, sull’islam è più in generale sulla paura del diverso: “I dati mostrano che l’opinione pubblica è molto più sfaccettata rispetto alle posizioni dei talk show in cui si è a favore o contro. In Italia esistono più segmenti di gruppi diversi, sette per l’esattezza, rispetto al resto dell’Europa e abbiamo circa il 20% di persone che fanno parte dei moderati pensanti: non hanno problemi con il diverso ma non si mobilitano e stanno alla finestra. In Francia ad esempio è stato rilevata una islamofobia molto più forte che da noi”.

Con il progetto Colibrì abbiamo avvertito l’urgenza di spiegare cosa è l’identità, la tradizione e la comunità” afferma Ilda Curti (vice presidente di Efah), dichiarando che “sono parole servite per creare un nemico, ma noi abbiamo il compito di trasformarle in positivo. Il progetto Colibrì è dunque una cassetta per gli attrezzi per persone impaurite”. E ancora: “L’Europa aveva tre pilastri che erano la giustizia, la ragione (che serve per dire che sull’immigrazione non siamo di fronte ad una emergenza) e la carità. Noi abbiamo oggi il compito di lavorare sulle comunità spaventate, dobbiamo farlo per noi e per gli altri perché vorrei che mia figlia vivesse in un continente che garantisce le libertà a tutti e l’inclusione”.

“C’è il rischio che le comunità impaurite si incattiviscano e per questo dobbiamo costruire strumenti affinché questo non accada assieme agli operatori dell’accoglienza che devono accogliere e in alcuni casi lo fanno bene in altri meno” chiosa l’ex assessore di Torino, rilanciando sulla necessità di “parlare con le comunità, chiedendo loro quali sono i bisogni e ai nuovi arrivati domandiamo chi sono e quale storia culturale hanno alle spalle. Per noi oggi le persone che arrivano sono solo numeri e cancelliamo le loro storie ma conoscendoli vengono fuori le loro capacità. Ci sono delle storie culturali fantastiche in loro che messe assieme alla comunità diventano eccezionali”. La stessa Curti conclude la sua analisi: “Quando una persona la si conosce per nome si ha meno paura. Noi dobbiamo lavorare per togliere strumenti e brodo di cultura alle persone con la bava alla bocca per convincere quelle silenziose. Abbiamo lasciato sole le comunità, dobbiamo iniziare a dare una mano anche agli italiani”.

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