Attualità
8 Marzo 2018
La giornalista agli studenti: “La guerra è come il cancro, pare capiti sempre agli altri. Bisogna estirpare la cultura dell'odio verso il diverso”

Massacro di Srebrenica, la bosniaca Nuhefendic al ‘Vergani-Navarra’

di Redazione | 3 min

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“Ancora oggi la situazione non è rosea, bisogna estirpare la cultura dell’odio verso il diverso”. Questo è solo un passaggio della toccante e drammatica testimonianza della giornalista bosniaca Azra Nuhefendic sulle atrocità compiute dai serbo croati nella parte orientale della Bosnia, in particolare nella cittadina di Srebrenica, e nella capitale cosmopolita Sarajevo, portata agli studenti dell’Istituto Agroalimentare “Vergani-Navarra” in collaborazione con l’Istituto di Storia Contemporanea.

“La guerra è come il cancro: pare che capiti sempre agli altri, mai a noi stessi. Quello bosniaco è un genocidio nel cuore di una Europa democratica passato inosservato ai più”. Punta il dito verso l’indifferenza degli stati democratici europei la giornalista bosniaca per far capire agli studenti quanto questo sentimento unito a campagne di odio mirate a stigmatizzare il diverso in base all’etnia, all’orientamento sessuale o alle credenze religiose possa creare brutalità anche nel cuore di un continente apparentemente democratico e modernizzato come, appunto, l’Europa. La Nuhefendic ha cristallizzato la propria esperienza di ex reporter e di sopravvissuta nel volume ‘Le stele che stanno giù. Cronache dalla Jugoslavia alla Bosnia Erzegovina’, pubblicato nel 2011.“Fino allo scoppio della guerra, il mio paese, la Bosnia, era un paese multiculturale, dove la diversità era vissuta sostanzialmente con rispetto e concordia- racconta la giornalista-. Vivevamo in grattacieli e la guerra pensavamo fosse impossibile. Poi la politica, per rafforzare l’identità nazionalistica serba ha cominciato ad instillare, attraverso i media, la concezione che il diverso fosse un nemico. È stato un brusco risveglio, sono stata licenziata perché bosniaca e tutti i miei colleghi e amici nemmeno mi salutavano”.

Un genocidio, quello di Srebrenica, compiuto prevalentemente sulla popolazione bosniaca maschile, ma che ha riservato soprusi e violenze inaudite anche alle donne. “I mariti, i figli maschi e i padri venivano sgozzati direttamente nelle loro case davanti alla loro famiglia, poi buttati nelle fosse comuni. Le donne invece venivano portate per lo più in luoghi spaziosi, come ad esempio palestre e stadi, e li stuprate in massa e a più riprese dai serbo croati- continua la Nuhefendic-. Tutto questo avveniva nell’indifferenza degli altri stati europei che, dopo lo sterminio nazista, avevano giurato che niente di simile sarebbe più accaduto”.

Un rischio, quello della creazione di una cultura dell’odio verso “l’altro”, che di tanto in tanto è riemerso anche negli ultimi anni, complice la crisi economica e la conseguente frustrazione delle masse popolari. “Ci si può rendere conto di cosa è stata quella guerra solo recandosi sui luoghi dove si è svolta- sottolinea Anna Quarzi, presidente dell’Isco-. Lì si ha la percezione di quanto l’atrocità ci abbia toccati da vicino negli anni Novanta. La creazione di culture d’odio sono un pericolo concreto del nostro tempo: la crisi economica e l’impoverimento, senza solide basi democratiche, possono facilmente trasformare l’umanità in brutalità”. Un concetto questo ripreso anche dal vicesindaco Massimo Maisto. “Avere idee diverse è un arricchimento per la democrazia, l’importante è non alimentare ulteriormente l’odio, che pervade in buona parte la nostra società, verso ciò che è diverso”.

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