Attualità
18 Febbraio 2018
La sorella elisabetta: "Nino ci ha tenuti uniti non prendendoci troppo sul serio"

Sgarbi e il libro di suo padre: “L’ho conosciuto davvero a 93 anni”

di Redazione | 4 min

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“Mio padre ci ha guardato con distanza per la sua intera vita. Non prendendoci troppo sul serio ci ha tenuto uniti finché con Giuseppe (Cesaro, ndr) non ha cominciato ad aprirsi dapprima con reticenza”. Elisabetta Sgarbi ricorda così il padre Giuseppe nel tardo pomeriggio di sabato alla libreria Ibs durante la presentazione dell’ultimo libro di ‘Nino’, scomparso solo poche settimane fa: ‘Il canale dei cuori’. Prende posto sul leggìo all’inizio della presentazione — a cui parteciperanno anche suo fratello, Giuseppe Cesaro (scrittore, collega e amico di Elisabetta che ha contribuito alla stesura dei libri di Giuseppe) e Stefano Bighi (compagno di liceo di Vittorio “che avendo perso il padre molto presto ha amato il mio come se fosse il suo”, dice Elisabetta) — per un intervento lungo e in parte di getto per tenere caldo il pubblico, che sfora il centinaio di persone nella sala dell’oratorio San Crispino, il quale nota l’assenza dell’altro Sgarbi, Vittorio “che ha detto sarà puntuale con mezz’ora di ritardo”.

“Volevo fare l’introduzione perché ricordo che quando mio padre aveva finito di correggere questo libro, a novembre, non pensava fosse l’ultimo”, aggiunge Elisabetta Sgarbi, “ma questo libro ha qualcosa di definitivo, ha una prosa più nitida e più secca, più simile a quella di mio padre che però amava moltissimo la poesia, arrivando a trasformare citazioni dei libri in versi”.

“La scrittura rende immortali e per questo anche Nino è immortale, un grande narratore della nostra generazione perché la scrittura è un eterno presente. E non era diffidente, ma pudico. ‘L’arte sarà anche di tutti ma la vita è solo di chi l’ha vissuta’, diceva”, ricorda invece Cesaro prima di lasciare la parola a Stefano Bighi che, di sponda, tira fuori un altro aneddoto sulla vita di Giuseppe Sgarbi: “All’inizio (della carriera da scrittore, ndr) non era molto contento, poi però ci aveva preso gusto. Era molto contento di aver instaurato un rapporto con Magris. Ho l’impressione che questo libro sia definitivo, lascia intravedere non una stanchezza di vivere ma che le sue poesie sono conseguenti. La mia interpretazione è che questo libro sia il suo addio”.

Nel frattempo Vittorio arriva, prende posto dopo aver stretto le mani di tutta la prima fila, attende la fine della lettura di un brano da parte di Marco Gulinelli non senza trepidazione: cerca alcune citazioni sul suo iPhone, tamburella con le mani, si toglie e indossa continuamente gli occhiali.

Quando gli tocca parlare lo stile è quello di sempre: scanzonato, pieno di aneddoti che a prima vista sembrano non avere continuità col tema della discussione finché non li chiude con un’illuminazione che li collega col rapporto che aveva con i suoi familiari.

Per i primi dieci minuti, ad esempio, parla del ’68: dà una sua analisi — non andrebbe rinnegato come fanno le destre adesse, dice, e soprattutto gli è servito per affinare il linguaggio per il quale è conosciuto parlando a platee di studenti in assemblee seguitissime da filo-anarchico —, lo usa per arrivare al 1970 — “Quando a Ferrara venne Montale e a fargli delle domande fummo in tre: io, Pazzi e Felloni”, dice mentre tangenzialmente si stupisce ancora della ‘svestizione disarmante da ogni genere letterario’ dell’autore — e infine riporta la storia alla sua storia: “Mia madre veniva chiamata Rina e basta. Il ’68 ha voluto dire far ringiovanire i genitori di venticinque anni, rendendoli nostri coetanei”.

Fa anche una tangente sul fascismo, a modo suo: ricorda uno screzio durante una campagna elettorale delle amministrative con Balboni sull’intitolazione dell’areoporto di Ferrara a Italo Balbo, poi “Mio padre veniva da lì e rimase lì. Fascismo, democrazia spuria — lui votò per la monarchia. Mia madre era una giovane italiana. Ma era la giovinezza, a loro quel periodo ricordava la felicità”.

È a questo punto che diventa più personale: “È servito fino al 2014 perché potessi avere in mano un libro di mio padre, che leggo in una notte e dico ‘mio padre è un poeta’ mentre mi commuovo non volendo. E mi rendo conto di non aver conosciuto mio padre fino a 93 anni, prima era un’altra cosa”.

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