Cronaca
27 Aprile 2017
Dopo gli avvisi di garanzia ai 12 indagati rimasti per l'aumento di capitale parla il procuratore capo Bruno Cherchi

Carife. “Un punto fermo dopo due anni d’indagini”

di Daniele Oppo | 3 min

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da destra: il procuratore Cherchi e il colonnello Lancerin

Quindici faldoni, migliaia di pagine, dodici indagati rimasti per le operazioni dietro l’aumento di capitale da 150 milioni varato da Carife nel 2011. “Un punto fermo dopo quasi due anni d’indagini”, secondo il procuratore capo Bruno Cherchi.

“Indagini iniziate prima della dichiarazione d’insolvenza, un procedimento particolarmente complesso anche per motivi tecnici e sui cui non c’è molta giurisprudenza”, spiega ancora Cherchi che nella tarda mattinata di giovedì ha convocato la stampa per una conferenza, tenuta insieme al comandante delle Fiamme Gialle di Ferrara, il colonnello Sergio Giovanni Lancerin, “che ha seguito personalmente le indagini”.

Indagini difficili, anche perché “centinaia di persone hanno proposto denuncia” e tutti gli atti sono finiti sotto la lente d’ingrandimento della procura (pm Stefano Longhi e Barbara Cavallo) e della guardia di finanza. I risultati, i faldoni e le migliaia di pagine, sono stati digitalizzati per essere consegnati alle difese dei dodici indagati e rendere loro il compito più agevole.

“Dalle indagini – spiega il procuratore – abbiamo riscontrato che gli atti proposti ai diversi Cda (tutti finiti inizialmente sotto indagine) erano non corretti e una parte dei consiglieri di amministrazione non ha potuto avere contezza reale di quello che stava accadendo, ecco perché ci sono state delle esclusioni”. Cadono dunque le accuse per i vari componenti dei cda senza ruoli direttivi, per i sindaci, i componenti del collegio dei revisori, i vertici della Fondazione, gli amministratori della Popolare di Bari e Cividale, la cui partecipazione all’aumento di capitale è stata ritenuta corretta.

Rimangono gli ex vertici di Carife, una parte dei membri della struttura tecnica che ha collaborato alla stesura dei prospetti, un membro della società di revisione e due funzionari di Caricesena e Valsabbina, banche che parteciparono all’aumento di capitale. Le accuse, a vario titolo, sono quelle di formazione fittizia di capitale (operata dalle banche con sottoscrizioni reciproche abbastanza complesse), falso in prospetto, aggiotaggio, ostacolo alla vigilanza e, infine, come conseguenza della formazione fittizia del capitale, la bancarotta fraudolenta. Gli indagati rimasti sono  i massimi vertici della vecchia banca, vale a dire l’ex dg Daniele Forin e l’ex presidente Sergio Lenzi, le figure apicali delle banche ‘complici’ (Ezio Soardi per Valsabbina e Germano Lucchi per Caricesena), i funzionari Davide Filippini e Michele Sette, Paolo Govoni in qualità di referente di Carife Sei, e Michele Masini della società di revisione Deloitte &Touche, oltre ad altri due funzionari di Carisena e Valsabbina e altri due di Carife.

“Tutta l’attività svolta – riferisce ancora Cherchi – ha fatto emergere spunti che verranno valutati nelle indagini per il fallimento”, ovvero per il secondo filone si indagini seguito dalla procura, nato dopo la risoluzione di Carife e separato sia per le difficoltà intrinseche della prima tranche che per evitare la prescrizione.

Ora i dodici indagati che hanno ricevuto l’avviso di garanzia hanno venti giorni per avanzare delle difese o farsi interrogare in procura dopo che molti, finora, si sono avvalsi della facoltà di non rispondere.

Prima di questi tempi tecnici non verrà fissata l’udienza preliminare, che comunque non si svolgerà nel tribunale di Ferrara perché non ci sono spazi idonei ad accogliere le centinaia di parti offese che hanno proposto le denunce, né tutte le altre – come gli azionisti – che verranno chiamate. Il tribunale si sta già muovendo in via cautelativa per prenotare ampi spazi: o alla fiera o alla sala congressi dell’ospedale di Cona.

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