
Da sinistra: Gaetano Sateriale, Roberto Cassoli e Luigi Marattin
“Nel mercato del lavoro c’è una crisi della domanda”. “No, c’è una crisi dell’offerta”. Partono da sponde opposte il coordinatore della segreteria nazionale Cgil Gaetano Sateriale e l’assessore ai Lavori pubblici Luigi Marattin, un tempo seduti nella stessa sala consiliare (il primo come sindaco il secondo come suo consigliere di maggioranza) e oggi allo stesso banco (ma con idee molto divergenti) per parlare di economia di fronte alla settantina di persone arrivate per seguire il dibattito organizzato dall’Istituto Gramsci su lavoro, regole, Job Acts e piano del sindacato.
La sigla di Susanna Camusso ha infatti presentato una proposta sul tema nell’estate del 2012, partendo da alcune convinzioni. “Perché il lavoro è un’emergenza? – si è chiesto l’ex sindaco –. Perché è pagato troppo? Perché è poco preparato?”. Nessuna di queste è la risposta: il lavoro è un’emergenza, invece, “perché è poco e povero, e così non si va da nessuna parte. Ecco perché il Piano della Cgil insiste sulla necessità di aumentare i posti, e che siano posti di qualità”. Niente scavare buche per poi riempirle, insomma, “ma una domanda di lavoro innovativo, tanto nel privato quanto nel pubblico. Non lavoro purchessia – ha insistito Sateriale –, ma lavoro di qualità”.
Per farlo ovviamente occorrono soldi, che secondo quello che uno dei più stretti collaboratori di Camusso non vanno trovati aumentando le imposte o introducendone di nuove (Sateriale non ha fatto cenno alla patrimoniale), “ma esercitandosi con le risorse che già si trovano nel bilancio dello Stato e in quelli degli enti locali: vogliamo una spending review che finanzi l’innovazione”. I settori su cui puntare sono i soliti, dalla cura del territorio all’innovazione telematica fino all’assistenza agli anziani, de-ospedalizzando il più possibile. Da quest’ondata di cambiamento dovrebbe essere investita pure la pubblica amministrazione, di cui Sateriale non ha voluto negare la “arretratezza, anche se è difficile rinnovarla bloccando le assunzioni come a lungo si è pensato”. Di certo, ha concluso, “per risolvere il problema non bisogna né rifare le leggi sul mercato del lavoro, né dare contributi a pioggia alle aziende”.
Di un piano simile Marattin non condivide le premesse. “Ė vero che in Italia un lavoratore costa al suo datore meno che in Germania – ha concesso –, ma non si può considerare il valore assoluto: bisogna guardare il costo in rapporto al reddito che i lavoratori italiani producono” e allora si scopre che il quoziente è più sfavorevole al connazionale che al collega germanico. Un problema di costo del lavoro dunque c’è per l’assessore, che al tempo stesso ha però concordato sul fatto che al dipendente italiano arriva uno stipendio netto tra i più bassi dell’Occidente: “un metalmeccanico del terzo livello costa alla sua azienda 2.200 euro, ma lui ne guadagna esattamente la metà, e la colpa di questo sta in cinque lettere: tasse”. Un problema che oltretutto riguarda non solo i lavoratori ma pure le imprese, “visto che su 100 euro di utile 65,5 vengono assorbiti dalle imposte. Ma come fanno a creare lavoro?”.
Seconda differenza di fondo: “i lavoratori italiani non sono certo ignoranti, ma esiste un disallineamento tra le loro competenze e quelle richieste, perché abbiamo uno scandaloso sistema di formazione professionale che andrebbe raso al suolo e su cui andrebbe sparso il sale. Nel tempo ogni categoria si è creata il suo ente per accaparrarsi risorse europee, con scopi del tutto diversi dalla riconversione dei lavoratori”.
Marattin poi, come ha di recente affermato insieme ad Alberto Bisin, non è convinto che la spesa pubblica possa essere – come si dice spesso – un volano di crescita, visto che “al giorno d’oggi un euro speso ne produce al massimo uno e mezzo di Pil, e non certo cinque come in effetti accadeva negli anni Settanta”. Per questo motivo ha apprezzato l’intenzione cigiellina di utilizzare risorse già presenti nei bilanci, e si è spinto a un’ipotesi che, se diventasse realtà, potrebbe turbare il sonno di parecchi imprenditori e lavoratori. Il Comune investe ogni anno tra i 14 e i 16 milioni di euro nei lavori pubblici, ha ricordato, di cui “sei-sette per rifare gli asfalti, un settore in cui di innovazione ce n’è ben poca. Siamo pronti a dire alle imprese tradizionali che li tagliamo? Io sì – ha annunciato – ma il sistema produttivo ferrarese reggerebbe?”.
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