Occhiobello
7 Dicembre 2013
Al Teatro di Occhiobello l’omaggio a uno dei protagonisti della politica italiana del Novecento

I pensieri lunghi di Enrico Berlinguer

di Redazione | 3 min

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(foto di Bepi Caroli)

(foto di Bepi Caroli)

di Federica Pezzoli

Occhiobello. Dopo Nostra Italia del miracolo, al Teatro Comunale di Occhiobello è andato in scena un altro affresco della nostra storia recente: Berlinguer. I pensieri lunghi. Ancora una volta attraverso i pensieri e le parole di suoi grandi protagonisti: questa volta Berlinguer, Gramsci, Pasolini, Siascia. Cambia la voce narrante, in questo caso Eugenio Allegri, ma Giorgio Gallione, che ha curato testo e regia, ha collaborato per la drammaturgia con Giulio Costa, creatore insieme a Maura Pettorusso dello spettacolo su Camilla Cederna.

Due schermi scandiscono e rafforzano attraverso immagini di repertorio il racconto di Allegri: slogan, simboli, volti, luoghi come sfondo della storia personale e politica di Enrico Berlinguer. La partecipazione, lui di famiglia aristocratica giovanissimo iscritto al Pci, ai moti per il pane del 1944 a Sassari, poi a Roma dal 1950 segretario della Fgci quando, nel corso della campagna contro l’atomica e la firma del patto Atlantico, inventa le bandiere arcobaleno della pace cucite con tante strisce di stoffa colorate. Vive in prima persona la rivelazione degli orrori staliniani, cerca di imboccare la via della democrazia senza rinunciare a essere comunisti. Sono gli anni del “boom” e poi dello “sboom”, dello “sviluppo economico” senza “progresso sociale e civile” per dirla con Pasolini, del ‘68, delle bombe di piazza Fontana. Nel 1972, dopo la morte del segretario Luigi Longo, il “sardo muto”, come lo chiamavano alcuni nel Pci, si scontra per la leadership con Giorgio Napolitano, sostenuto dalla destra del partito. Ma c’è spazio anche per la dimensione internazionale: il discorso di Robert Kennedy sul Pil che misura tutto “tranne ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta”, il golpe che mette fine al Cile di Allende, il progetto dell’eurocomunismo insieme ai compagni francesi e spagnoli, la primavera di Praga, lo strappo con l’Urss e il sospetto attentato in Bulgaria.

Intanto fra il 1975 e il 1976 il Pci sotto la sua guida fa un grande balzo in avanti alle elezioni, come sancisce il titolo «Eccoci» de l’Unità. Nel sanguinoso Settantasette dell’estremismo violento e delle Brigate rosse Berlinguer condivide con Aldo Moro l’ipotesi del compromesso storico, naufragato con il rapimento e l’uccisione del leader della Dc. Intanto il paese “sta cambiando pelle”: il grande sciopero alla Fiat di Mirafiori e la marcia silenziosa dei 40.000 che sancisce la sconfitta della lotta operaia, l’affermazione del Partito socialista di Bettino Craxi, le lottizzazioni dei partiti contro le quali Berlinguer conia la parola d’ordine “questione morale”, perché “se si continua in questo modo la democrazia rischia di affogare in una palude”. Fino a quel 7 giugno 1984, a quel palco di Padova dove viene colto da un’emorragia cerebrale per morire quattro giorni dopo, fino al suo funerale di fronte a una folla immensa, quasi un rito di contrappasso per lui, così schivo e sobrio.

Come recita il monologo finale scritto da Enzo Costa, Enrico Berlinguer era “una persona seria”, “una personalità” e “non un personaggio”o “un personalismo”. I pensieri di Berlinguer erano lunghi non solo perché è stato sorprendentemente lungimirante nel prefigurare scenari politici futuri, ma soprattutto perché – come si dice all’inizio dello spettacolo – l’utopia serve “a camminare” e rimane “sempre all’orizzonte”.

La narrazione di Eugenio Allegri è coinvolgente, incalzante, capace di guidare l’attenzione del pubblico ora accelerando ora rallentando, tra suspense e riflessione, solennità e commozione. Uno spettacolo per fare memoria, o meglio per dare la possibilità di riallacciare i fili della memoria a chi è troppo giovane per ricordarsi cosa hanno significato quei momenti, per mettere a fuoco ciò che abbiamo rimosso, perduto, trasformato, negato.

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